E' sempre stato così: per avere successo e seguito sapersi vendere conta più del valere effettivamente. Per dire al giorno d'oggi si dibatte e si scrivono fiumi di parole sulle finte crocifissioni inscenate sul palco dalla "trasgressiva" Madonna mentre la morte, dopo trent'anni e più di vera via crucis nella pazzia di niente meno che un genio come Syd Barrett è roba tutt'al più per trafiletti. . .
Claudio Lolli se lo filano in pochi, schivo e modesto com'è, capace di tirarsi fuori (alla grande) solo nei dischi, di statura poetica pari ai migliori autori in Italia (e ne abbiamo di buoni, musicalmente siamo a rimorchio ma liricamente non temiamo confronti...), pure dotato di bella e comunicativa voce, calda e senza alcuna inflessione che non sia di generica appartenenza al Norditalia. Pesa nel giudizio di chi conosce superficialmente le sue opere l'alea da sfigato accumulata con i primi tre album dell'inizio dei settanta, così carichi di pessimismo e nichilismo da risultare insostenibili ad un ripetuto ascolto, ma chi è venuto a contatto con questo suo quarto album uscito nel 1976 dovrebbe avere intuito che è uno dei capolavori della musica italiana d'autore.
Lolli è cantautore militante, capace in questa occasione di mettere in versi ed in musica con efficacia misura forza amore e schiettezza quello che sono stati gli anni settanta politicamente, socialmente, culturalmente, sentimentalmente. Lo fa con l'ottica marxista che gli è propria, con una dolcezza commovente, con la potenza e la suggestione della lingua italiana usata al meglio, ed infine strutturando la parte musicale in maniera notevole ed inusuale.
"Ho visto anche degli zingari felici" è infatti una suite, formata da sette diversi brani più la ripresa finale del primo di essi, legati insieme dall'arrangiamento a formare una compatta e caleidoscopica saga su quei momenti dell'Italia, la politica che si intreccia con l'amore, il femminismo con l'anarchia, le stragi impunite (ancor oggi...) con le discussioni in osteria, il sociale con il personale, e come fulcro di tutto, crocevia di sentimenti privati e manifestazioni pubbliche, la piazza di una città, che poi per Lolli è Piazza Maggiore a Bologna ma potrebbe essere qualsiasi altro punto di ritrovo e di riferimento nel quale ciascuno di noi ha accumulato ricordi, momenti di dubbio, di svolta. di felicità, di disperazione.
Oggi come sempre sento un brivido percorrermi la schiena quando, verso la fine della traccia n° 6 "Anna di Francia" una sublime ballata d'amore e di rispetto, il ritmo si fa più serrato e Claudio intona:
Non sarò per te un orologio,
il lampadario che ti toglie il reggiseno,
quando è tardi, è notte e tu sei stanca
e la tua voglia come il tempo manca.
Non sarò per te un esattore
di una lacrima ventuno volte al mese,
non conterò i giorni alle tue lune
per far l'amore senza rimborso spese.
Non sarò per te solo lo specchio
di una faccia che non cambia mai vestito,
non sarò il tuo manico di scopa
travestito da amante o da marito.
Non sarò quel cielo grigio quel mattino,
il dentrificio che fa a pugni con il vino,
non sarò la tua consolazione,
e neanche il padre del tuo prossimo bambino.
Per questa volta almeno sarò la tua libertà,
per questa volta almeno solo la tua libertà,
per questa volta almeno la nostra libertà
e la piazza calda e dolce di questa città
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