I Close Your Eyes sono una band proveniente da Abilene, nel Texas, che si propone di fondere l’immediatezza e l’emotività melodic hardcore con cori e ritornelli pop-punk, non disdegnando strizzatine d’occhio a generi più moderni quali metalcore e post-hardcore, un po’ come hanno fatto i ben più famosi A Day To Remember (band che però non mi ha mai detto più di tanto…).

Questi ragazzotti esordivano nel 2010 con il loro primo full-lenght “We Will Overcome”, guidato dal famoso singolo “Song For The Broken”, disco buono ma abbastanza nella media del post-hardcore moderno

Nel 2011 esce il loro secondo album, “Empty Hands And Heavy Hearts”.

La band, ai tempi dell’uscita, era formata dal cantante Shane Raymond (vero fuoriclasse nel suo ruolo, e poi vedremo perché), i chitarristi Brett Callaway e Andrew Rodriguez, il bassista Sonny Vega e il batterista Tim Friesen. La band fa parte della scena cristiana, e i testi del cantante in parte rispecchiano ciò, pur restando molto oscuri e raramente aperti ad emozioni positive.

L’album inizia sparato con “Hope Slips Away”, che già detta gli elementi che ciclicamente troveremo in quasi ogni canzone: batteria tipicamente punk, riffoni metal e voce urlata che inizia il suo sermone di rabbia, depressione e sprazzi di cristiana speranza. La canzone si apre poi in un ritornello che se vogliamo è un po’ banale, ma che si attacca alla materia cerebrale e non viene più via.

La seconda canzone è una delle migliori e quella che per prima mi ha fatto innamorare di questo disco, “Empty Hands”. Qua c’è tutta la rabbia di Raymond, che canta su una base tiratissima le sue paure, ansie e illusioni. Verso la fine brividi, dico solo questo. Prestazione vocale da applausi.

“Erie” è l’emblema del Close your eyes sound: riff veloci, batteria martellante, voci urlate che si alternano a cori e ritornelli pop-punk. Dura molto poco, quel che basta.

“Valleys” è la canzone fra tutte quelle presenti che più sembra avere ambizioni da classifica. Il ritornello forse è veramente un po’ troppo catchy, ma i nostri riescono ancora a mascherare le loro tentazioni commerciali con arrangiamenti fantasiosi e una prestazione canora ancora una volta superlativa.

“Injustice” è simile ad “Erie”, breve, intensa e incazzata, fra le più vicine all’hardcore.

“Paper Thin” è fra le più melodiche del platter, i Nostri sorprendono ancora mettendo per un po’ a parte i chitarroni facendo più spazio al pulsante basso di Sonny Vega. Stupenda la digressione melodica finale con tanto di arpeggio e cori di ispirazione gospel (che poi rivedremo ancora). Finora nessun calo, chapeau.

La successiva “Wormwood” è validissima e colpisce per la sua varietà, è praticamente una sintesi dell’intero disco.

“Keep The Llights On” è una delle canzoni più valide del disco, Raymond di nuovo ulula un testo stupendo sopra una base musicale altrettanto valida. Pelle d’oca nella parte in cui il singer canta il ritornello con sotto solamente la linea di basso. In breve vi ritroverete ad cantare anche voi con lui.

“Carry You” è una canzone d’amore, ma questo non vuol dire che sia una palla fatta di arpeggini e vocine innocue del cazzo di greendayana memoria, tutt’altro. Il testo, se vogliamo essere puntigliosi, questo volta è un po’ banalotto probabilmente a favore della scorrevolezza e l’orecchiabilità della canzone. Vi consiglio di guardare anche il videoclip, vi sorprenderà in positivo.

“Wolves” fra tutte è quella più vicina al metalcore, e non a caso vede la partecipazione di Jonathan Vigil, singer dei The Ghost Inside. “Wolves” si sviluppa su un crescendo molto interessante, con melodie chitarristiche azzeccate e breakdowns mai invasivi o fastidiosi.

“Scars” è forse l’episodio che apprezzo di meno, è una canzone che, dopo tutto quello che abbiamo sentito, risulta un po’ ripetitiva e inutile. Non è vero e proprio passo falso, ma poco ci manca.

I Close Your Eyes lasciano come traccia finale quella che probabilmente è la più sentita e pregna di passione, “Heavy Hearts”. La canzone è praticamente una richiesta di aiuto/disperata dichiarazione d’amore/preghiera davvero irresistibile. Dopo molti ascolti, risulta essere questa la migliore dell’intero album. È d’obbligo far notare che la traccia si conclude con un fantastico coro di voci bianche di due minuti che non stona per niente con l’attitudine del disco e fa da degna conclusione a questo lavoro.

Parlando oggettivamente, la formula vincente partenza aggressiva – parte calma – ritornello melodico – finale aggressivo è un po’ abusata, come anche i rallentamenti improvvisi dei riff , che ad alcuni potranno sembrare forzati e fatti solamente in favore delle sfuriate emotive di Shane Raymond. A mio parere, solo il primo di questi può essere considerato un difetto, mentre ritengo il secondo il vero punto di forza dell’album e della band. La voce di questo cantante infatti (pur non essendo di per sé nulla di straordinario) è veramente espressiva e si può percepire benissimo il suo credere in quello che canta, sia esso riferito a Dio o a sue esperienze personali .

In conclusione, un disco molto valido, fatto con il cuore e da musicisti con due palle così. Forse è troppo estremo per chi è fan del pop-punk e troppo leggero per chi è abituato all’hardcore, ma per chi è di mentalità aperta non sarà di sicuro un ascolto sprecato.

Un tempo avrei dato 5 pieno a questo album praticamente misconosciuto.

Oggi oggettivamente è da 3,5.

Arrotondo per il valore personale.

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