Nel 1955, anno di uscita di "Lilli e il vagabondo" (19 ottobre per l'esattezza) a Walt Disney i film interessavano meno del solito, in effetti già da qualche tempo (si stima dopo l'uscita di "Alice nel paese delle meraviglie", 1951) Walt aveva delegato molto ai propri collaboratori più fidati, in quanto più interessato alla creazione di Disneyland, il suo obiettivo più folle, creare quel parco divertimenti che avrebbe dovuto consegnarlo, come in effetti fu, all'immortalità.

Disneyland aprì ufficialmente il 17 luglio 1955, con una serie di problemi tecnici che non promettevano nulla di buono (un caldo allucinante; fontanelle senz'acqua; giostre che non funzionavano) e un afflusso di persone decisamente superiore alla media stimata. Già Walt preparava l'apertura del parco, ne furono "testimoni" alcuni speciali televisivi, intitolati banalmente "Disneyland", apparsi in Tv, con Walt gran cerimoniere, a fine 1954 (27 ottobre il primo episodio). In più, Walt era roso da dubbi artistici di non poco conto. Ce lo ricorda Michael Barrier nel suo libro "Vita di Walt Disney - Uomo, sognatore, genio" (Tunué, 2007):

"Alla metà degli anni Cinquanta Disney comprese che, diversamente dai suoi lungometraggi d'animazione, molti dei suoi film dal vero risultavano, dopo pochi anni, come già datati. [...] Ma potevano comunque arrotondare il flusso di guadagni dello studio, li si poteva riciclare nelle serie e nei programmi televisivi settimanali".

Or bene, in tale contesto, nonostante il successo rimarchevole del precedente film d'animazione "Le avventure di Peter Pan" (1953), tirare fuori nuove idee apparve, a casa Disney, difficile oltre ogni limite. Ecco venire, dunque, in soccorso la preziosa memoria: nei primi anni '40 Walt lesse una favola, "Happy Dan, The Whistling Dog", di tale Ward Greene, ma il progetto venne accantonato visto che in lavorazione erano già stati messi "Dumbo" e "Bambi", e soprattutto perchè a Walt la figura di Lilly piaceva poco, a suo dire troppo dolce e la favoletta, bhé sì, era buona, ma mancante d'azione. 15 anni dopo, gli Studios riprendono in mano l'idea, e con mano più libera, complici le attività extra-filmiche di zio Walt, ne rielaborano il soggetto aggiungendo qualche personaggio e un'idea di azione, di movimento, di pathos, quasi assente nell'operetta di Ward Greene.

Curiosità a parte, che sono molteplici, tra cui una sceneggiatura molto simile proposta a casa Disney nel 1949 da Maria Lejàrraga, scrittrice spagnola, che venne rifiutata da Walt, salvo poi riprenderne molte cose dagli Studios un lustro più tardi, così come la sequenza iniziale, voluta e scritta da Walt in persona (una delle poche idee che inserirà nel film), l'opera, che ebbe un successo notevole, è una delle più armoniose e riuscite dell'iter artistico della Disney.

L'azione si svolge a Londra, nei quartieri alti, e le vicende sono note (Lilly è una cagnetta aristocratica che si trova a vedersela col selvaggio Biagio, e da qui una serie di avventure che hanno molto in comune con ciò che sarà poi "Gli aristogatti" (1970). Ritmo veloce, scene d'azione concitate, alcuni passaggi (come il topo nel finale) da leccarsi i baffi, ma le novità stanno altrove. Vi è un uso del Cinemascope che mai nessun altro film d'animazione fino a prima aveva mai osato (le immagini appaiono in modo "totale" a tutto schermo, tanto che il formato televisivo ne mortifica l'essenza stessa) e una genialata totale è l'idea di inquadrare gli umani solo dalle ginocchia in giù (compresi i padroni di Lilly, Gianni Caro e Lisa Tesoro). Vero è che l'idea venne mutuata da quella di "Bambi" (1942) in cui gli umani non comparivano, ma qui il concetto di base è ancora più estremo: impossibile non fare comparire gli umani, e così meglio farli comparire come fantomatici pupazzi comandati con degli ipotetici fili a cui viene concesso il modesto privilegio dell'essere individui senzienti solo nelle gambe e nei piedi (ferocissima come idea). Fa eccezione il cuoco italiano che suona la fisarmonica nelle celebre scena dello spaghetto diviso in due, al suono di "Bella Notte", ma quello, nelle intenzioni degli autori, non era un umano, ma quanto un prolungamento dei due cani impegnati a flirtrare a cena.

Diversi fuorono i tentativi di realizzare, figurativamente, dei cani il più possibile simili a quelli reali. Furono studiati diversi cani e le loro reazioni, vennero realizzati qualche migliaio di bozzetti e il risultato fu all'altezza delle aspettative, nonostante zio Walt, nei pochi momenti in cui s'interessava all'opera, sembrò quasi voler "sabotare" il film, dato che la suddetta scena degli spaghetti era intenzionato ad eliminarla.

I problemi insorsero, anche, nel momento della distribuzione. I cinema americani, e non solo, non erano attrezzati (o meglio, alcuni sì) al Cinemascope e questo costrinse gli Studios, con enorme esborso economico, a realizzarne due versioni, una, appunto, in Cinemascope e una in versione tradizionale. Oggi, in DVD, è in vigore la versione in Cinemascope.

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