Come si fa a far apprezzare della buona musica a chi ascolta spazzatura? Semplice, basta fargli ascoltare "Good Apollo, I'm Burning Star: Volume One: From Fear Through the Eyes of Madness" dei poliedrici Coheed and Cambria.
Il quartetto newyorkese con il loro terzo album ha dimostrato a pieno le loro capacità. L'album si apre con il classico pezzo epico strumentale questa volta intitolato "Keeping the blade" che fa da perfetto preludio al suo seguito; dalla seconda traccia in poi i Coheed, capitanati dal carismatico Claudio Sanchez, dimostrano le loro capacità a partire dalla traccia numero 2 e 3 (rispettivamente "Always & Never Clean" e "Welcome Home") in cui si sentono chiare influenze "pinkfloydiane" per quanto riguarda la seconda traccia e "pumpkiane" (per quello che riguarda l'apertura della terza traccia) e "ledzeppeliniane" (ascoltare l'assolo di "Welcome Home"). Certo non mancano le vecchie melodie punk-rock che hanno caratterizzato i loro album precendenti, infatti sia "Ten Speed (for God's Blood & Burial)" che, soprattutto, "The Suffering", riprendono le classiche melodie già ascoltate in brani come "A Flavor House to the Atlantic".
Nell'album non mancano di certo influenze di rock classico come in "The Lying Lies & the Dirty Secret of Erica Court" e di influenze indie presenti quasi in ogni traccia a sprazzi. Capitolo a parte va fatto per due tracce: la prima è "Wake Up", brano acustico che, a mio parere, è il miglior brano dell'album, la seconda è "The Willing Well IV: the Final Cut", traccia contenuta nel sub-album "The Willing Well" (quattro tracce di circa 7 minuti l'una in cui la band da il meglio di se grazie a continui cambi stilistici all'interno degli stessi brani) che rappresenta quasi la fusione delle loro radici con il loro classico stile: un pezzo blues arricchito da pesanti chitarre elettriche, ricca effettistica e potenti assoli di chitarra.
L'album è stato molto ben studiato su due dualismi:il primo è quello fra Sanchez e Stever in cui le chitarre si scambiano constantemente le parti fra solista e ritmica; il secondo e quello fra Eppard e Todd in cui il primo stupisce per l'inserite di passaggi in tempi dispari e il secondo che non solo riempie i i tempi vuoti, ma cambia tecnica di pennata quasi in ogni traccia (ascoltare "the Suffering" per capire): insomma, un vero capolavoro.
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