"Il secondo album è sempre il più difficile nella carriera di un artista" cantava Caparezza riprendendo volutamente una carrellata di luoghi comuni, e nei luoghi comuni sta sempre nascosta una briciola di verità; quando nel 2006 i Cold War Kids uscirono con l'ottimo "Robbers & Cowards" proponevano un ammiccante impasto di Rock, Blues e Folk che li fece diventare i primi della classe nelle categorie musicali riservate alle nicchie, quindi caddero nella tentazione di rilasciare un secondo album nel 2008 ("Loyalty To Loyalty") che ricalcava le orme del predecessore accentuando molto quelle sfumature Blues che si erano intraviste in precedenza, ma senza dire nulla di troppo diverso per non perdere subito la propria identità. Risultato: se lo cagarono una parte di una percentuale della metà delle nicchie che avevano ascoltato già il primo.
Ecco quindi che con la loro terza uscita, questo "Mine Is Yours" prodotto da Jacquire King, i Cold War Kids decidono di mirare ad un pubblico più ampio smussando i toni che li guidavano fuori dal mainstream e ne facevano un prodotto Indie non solo di etichetta ma anche di fatto, il frontman Nathan Willett decide che con l'EP "Behave Yourself" può considerarsi chiusa la prima parte della carriera del gruppo e che è il momento di diventare più maturi nel modo di fare musica, sottoponendosi quanto basta alle smussature commerciali che accontentano le masse.
Il primo ascolto suona decisamente strano per chi nel 2007 ha visto dal vivo quel ragazzo grassottello con i capelli biondi unti e la maglietta marrone arrivare tutto sudato, seduto al pianoforte, alle note più alte del pentagramma, che fine ha fatto il groove? E il fumo dei locali? Scorrono via "Mine Is Yours", "Louder Than Ever", "Royal Blue" e ci si accorge subito della svolta, meno sonorità chiuse e ruvide in favore di musica più ariosa e anthemica, la chitarra di Jonnie Russell non gratta più ma squilla, le canzoni appaiono più solari di quanto non ci si potesse aspettare. Giunti a "Finally Begin" si ascolta l'ingresso sospeso a mezz'aria della chitarra, ancora lei, e si capisce che non si torna più indietro eppure un mezzo sorriso scappa, il pezzo come tutto l'album ha un impatto forte e trascinante, va bene che siete cresciuti, va bene che avete deciso di vendere qualche copia in più, ma ci sapete fare. La prova è lì sparsa per tutte le 11 tracce, dalla morbida "Skip The Charades" alla nuda "Sensitive Kid", dalla liberatoria "Out Of The Wilderness" a "Bulldozer", forse il pezzo migliore. Nessuno veramente eccelle e nessuno veramente sfigura, ma fra i due poli si tende più verso il primo.
E' difficile accettare un cambiamento, in generale, e questo caso specifico dei Cold War Kids non fornisce sufficienti motivazioni per affermare in modo unanime che tale cambiamento era necessario, non c'è nulla che abbia la forza straordinaria di "Hospital Beds", quindi lascerà divisi i pareri com'è giusto che sia. Mi viene in mente un passaggio di "Mediterraneo" di Gabriele Salvatores in cui i personaggi venivano definiti come gente che vive quella fase della propria esistenza dove si sta sospesi fra il desiderio di fuggire e quello di fermarsi a costruire la propria vita; questo album è adatto a gente così.
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