Ma siamo sicuri di aver ascoltato un disco dei Coldplay? È quanto in molti si saranno chiesti dopo aver ascoltato "Ghost Stories", sesto lavoro in studio della band britannica. 

Premetto che secondo una mia considerazione oggettiva (quindi non dipendente dai gusti personali ma derivante da considerazioni ben ragionate, come un critico musicale dovrebbe sempre fare) ho sempre considerato i Coldplay una buona band, non una grandissima band; una band che si è distinta per un pop-rock ben confezionato e curato negli arrangiamenti e nelle melodie, più raffinato nelle prime produzioni un po' meno in quelle più recenti, molto più orientate verso il posizionamento in hit parade. Diciamo che in un panorama pop odierno basato essenzialmente sulla banalità, sulla facile presa e sugli arrangiamenti spesso vuoti e piatti loro riescono invece a tirare fuori arrangiamenti abbastanza seri seppur semplici, mostrando anche un tocco di classe; il loro è pop-rock ma non è un accozzaglia di suoni senza senso e in un certo senso ha anche dato nuova linfa al panorama moderno, influenzando anche parecchie band.

Ma "Ghost Stories" è davvero un salto di qualità incredibile, un qualcosa che non mi sarei mai aspettato da loro, soprattutto dopo un disco decisamente più ruffiano e "catchy" qual era "Mylo Xyloto", che sicuramente aveva fatto pensare a molti che la band si fosse definitivamente infilata nel tunnel della facile presa e dei ritornelli da stadio. Infatti ci troviamo di fronte ad un disco insolitamente difficile e sperimentale per i Coldplay. Un album dalle atmosfere fredde e notturne, dai toni delicati, malinconici, dai suoni tremendamente particolari e ricercati, in poche parole non è un disco fatto per le radio.

Disco che nasce in un momento difficile soprattutto per il leader Chris Martin, alle prese con la separazione dalla moglie Gwyneth Paltrow. E anche se la composizione è merito di tutta la band abbiamo la conferma che un artista dà il meglio di sé proprio nei momenti più bui... come buie sono le sonorità del disco. Da un punto di vista strettamente strumentale è da notare come il sound sia nettamente più tecnologico che in passato, volutamente più artificioso e incentrato su sintetizzatori ed effetti elettronici, così come a creare i lievi ritmi vi sono quasi sempre percussioni elettroniche. Non per ultimo un minor spazio alle chitarre. Già a partire da "Viva la vida" la band aveva provato ad arricchire il proprio patrimonio sonoro e a rendere il proprio sound più tecnologico ma, soprattutto in "Mylo Xyloto", accompagnando il tutto con una produzione spesso troppo piatta che non rendeva giustizia alle idee e metteva in risalto soltanto il ritmo e la voce, quasi a volersi adattare a quella piattezza sonora che rende le produzioni pop moderne oggettivamente scadenti e pienamente meritevoli di stroncatura da parte della critica competente ma apprezzabili dal grande pubblico (e lo sappiamo bene che almeno dagli anni '90 in poi la gente comune è tendenzialmente attratta dalle cose facili e vuote). Qua invece la cura dei suoni sembra quasi maniacale, i suoni sono leggeri sì (in sintonia con il mood del disco) ma mai soffocati.

Se dovessimo fare dei paragoni che rendono meglio l'idea del tipo di prodotto che ci troviamo di fronte... dico che le ritmiche delicate ed artificiose e l'elettronica molto fredda e cupa mi hanno fatto venire in mente lavori di gruppi trip-hop come Massive Attack e Portishead; le atmosfere sommesse e malinconiche, i soffici tappeti di tastiere e la voce più che mai intima e delicata di Chris Martin mi hanno addirittura ricordato i Talk Talk di  "The Colour of Spring" e "Spirit of Eden".

Ma prima di venire ad una descrizione più approfondita del contenuto do un consiglio. Gli amanti della musica si possono dividere in due frange: quelli veri ovvero quelli che fanno attenzione ad arrangiamenti, suoni, produzione, strutture e che giudicano la musica basandosi sui singoli elementi... e quelli pseudo-tali a cui interessa soltanto ciò che è canticchiabile, ballabile, allegro e giudicano bello ciò che possiede queste caratteristiche ignorando spesso i meriti oggettivi di una caterva di artisti (e che magari sarebbero capaci di dire ad esempio che Lady Gaga è migliore di Mozart solo perché mette più allegria ignorando la grandezza compositiva di Mozart). I Coldplay sono una band che piace ad entrambe queste frange, fra i primi rientrano tendenzialmente quelli che li ascoltano fin dagli albori e quindi sono attratti essenzialmente dalla validità della loro impostazione musicale mentre fra i secondi vi sono quelli acquisiti con "Viva la vida" e soprattutto "Mylo Xyloto" e che li apprezzano solo perché piacevoli all'ascolto e ho l'impressione che siano la maggioranza. Il consiglio è quindi: se fate parte della seconda categoria... lasciate perdere "Ghost Stories", è un disco musicalmente troppo serio che non fa certo per voi semplici "fruitori da supermercato" o casalinghe che stirano con la radio accesa.

Ma veniamo alle tracce. Già l'apertura ci dà l'idea di quanto l'album sia a servizio della ricercatezza melodica; "Always in My Head" colpisce con il suo corposo tappeto di tastiere ben sostenuto dai passaggi di chitarra e da effetti elettronici, una melodia rilassante e notturna, quasi una perfetta colonna sonora per girare in macchina di notte. "Magic" è invece un brano decisamente più leggero incentrato sulla ritmica e sulla sua soffice linea di basso; brano forse più immediato, non a caso è stato estratto come singolo. "Ink" ha un ritmo abbastanza più sostenuto, accompagnato da pregevoli innesti elettronici e lievi chitarre acustiche. "True Love", con le percussioni elettroniche addizionali suonate da Timbaland, ha ancora una volta un'atmosfera fresca, notturna e corposa guidata dalle tastiere e sostenuta da leggeri tocchi di chitarra e particolari suoni di stampo orchestrale, con la voce in falsetto di Chris a dare un tocco ancora più gelido.

E se già con queste tracce iniziali si toccano livelli di sperimentazione e di sensibilità emotiva piuttosto alti... ora si entra nel sublime! "Midnight" è stato uno dei singoli scelti per anticipare l'album ma è tutt'altro che un potenziale singolo, infatti non mi sorprendo di averlo sentito piuttosto poco in radio, probabilmente è stato scelto per non ingannare il pubblico e far capire di che tipo di album si sarebbe trattato; qui la sperimentazione elettronica tocca veramente il picco: loop ripetuti e più che mai ipnotici e voce elettronicamente distorta, tutto a sfociare poi in un bellissimo crescendo di schizzi sonori che sembrano provenire da una fonte di luce benefica. Il picco tecnologico e creativo del lotto, probabilmente, decisivo l'utilizzo di strumenti d'avanguardia come il ReacTable e l'arpa laser. Ottimi livelli di sperimentazione anche nella successiva "Another's Arm", con ancora notevoli riverberi elettronici e melodie fredde e dimesse sorrette anche dal pianoforte. In "Oceans" invece si risentono gli echi di "Parachutes": infatti a dominare il brano c'è la chitarra acustica,  proprio come spesso accadeva nei primi Coldplay, con l'aggiunta però di piccoli riff elettronici; il brano è praticamente un crocevia fra vecchi e nuovi Coldplay anche se il veramente sublime lo si tocca nella coda del brano, caratterizzata da un loop di suoni più che mai psichedelico, sofferto ed inquietante.

Un piccolo ritorno nel mainstream più puro lo si ha con "A Sky Full of Stars" dove per la prima volta i Coldplay si lasciano tentare dalle sonorità dell'house commerciale moderna. Due anni fa il contagio aveva colpito i Muse con "Follow Me", ora è il loro turno. Un bene o un male? Beh lo sappiamo che l'house moderna è un genere di dubbio gusto e qualità ma qui la tentazione non sembrerebbe ridursi ad una semplice accozzaglia di suoni come di consueto; togliendo le parti più danzerecce eseguite da Avicii - che comunque non suonano affatto male - alla fine nel complesso è un brano non proprio banale, abbastanza vario nelle parti di chitarra e di tastiera ed arrangiato in maniera discreta. Forse è il tormentone scelto dell'estate, Disco Radio se n'è già pienamente impossessata ma ballare sulle sue note quest'estate lo troverò sicuramente molto più piacevole che su diversi altri brani che circoleranno.

La chiusura è affidata a "O", ancora una volta con riferimenti ai vecchi Coldplay. Brano meno notturno, forse un po' più luminoso ma sempre malinconico, guidato dal pianoforte di Chris ma senza rinunciare ad inserire suoni particolari; degli effetti che ricordano versi di gabbiani rendono più interessante un brano che altrimenti sarebbe un brano normale; alla fine del brano vi è un reprise della prima traccia in cui compaiono le voci dei figli di Chris, Apple e Moses.

Chiudendo posso dire che i Coldplay hanno tirato fuori il loro miglior album; probabilmente la sorpresa dell'anno. Spero però che non si riduca ad un semplice episodio sperimentale; spero che sia solo l'inizio di una nuova fase, all'incirca sulla scia di quanto fatto dai connazionali Radiohead, che dopo aver iniziato con qualcosa di abbastanza immediato son passati a qualcosa di più sperimentale e ricercato; un ritorno a qualcosa di meno impegnativo o alle sonorità dei primi dischi lo suggerirei semmai più avanti, fra un paio di dischi, non subito. Intanto brindiamo al loro apice creativo e di maturità!

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