I Coldplay continuano a mietere antipatie e critiche, ma vanno avanti per la loro strada e sfornano un altro album in cui dimostrano di essere una pop band mediamente più valida e raffinata di tanta robaccia che circola.

“Moon Music” prosegue il discorso del precedente “Music of the Spheres”, continuando il viaggio in quell’immaginario sistema solare già esplorato nel 2021, e lo fa più o meno allo stesso modo. Si parte da una forte base pop, indubbiamente in grado di far presa sulle classifiche, ma si va in profondità, si creano brani semplici sì ma non certo piatti come gran parte del panorama odierno, le melodie sono forti e decise, dotate di una musicalità solida e di un lavoro strumentale magari non eccelso ma presente e tangibile. Questa musicalità ben sviluppata fa sì che pur nella loro semplicità i brani abbiano un grande potenziale atmosferico, riescono a portare l’ascoltatore veramente in un universo parallelo e in uno spazio magari non sterminato ma comunque vasto.

La proposta poi ha una buona varietà, si passa dai synth eterei di "Feels Like I'm Falling in Love" all’acustica da salotto e caminetto "Jupiter", si sfiora la brillantezza di certi Supertramp in "IAAM" e ci si scatena a ballare con il funk/disco a cavallo fra anni ’70 e ’80 di "Good Feelings" o con la più moderna "Aeterna", più che mai imparentata con “A Sky Full of Stars”. L’unica a non brillare è "We Pray", una sorta di r’n’b e rap urbano costruito sul suo beat ipnotico e su riff d’archi abbastanza plastificati, si sente che è un brano fatto per sfondare in radio spacciandosi per innovativi ma senza risultarlo.

Ma la proposta, come sempre, non si limita a brani dal grande impatto radiofonico, i Coldplay dimostrano ancora una volta di saper andare oltre la canzone pop e propongono una manciata di brani che esulano totalmente dalla logica commerciale, anche vestendosi di una vena orchestrale e sinfonica mai disdegnata dalla band. Già la pianistica e ordinata “All My Love” è meno catchy del solito, ma è niente rispetto a ciò che succede in brani come "Moon Music", "Alien Hits/Alien Radio" e "One World"; nella prima e nell’ultima si dà ampio sfogo alla vena orchestrale, sono incursioni coraggiose e spregiudicate nella musica classica con melodie sfarzose ma cullanti allo stesso tempo, nella seconda invece si mischiano bagliori elettronici, loop di suoni psichedelici e vocalizzi in stile Sigur Rós. I Coldplay hanno dimostrato ancora una volta di sapersi calare, a piccole dosi, nella sperimentazione, e lo fanno senza avere granché da invidiare a gruppi sulla carta più dotati.

Difficile stabilire quale album sia migliore fra questo e il precedente capitolo. Il precedente forse mi è piaciuto un pelo di più perché aveva una profondità melodica più pronunciata, aveva delle cosette più particolari anche nei frangenti più pop e aveva quel mostro di 10 minuti finale. In ogni caso anche in quest’ultima occasione i Coldplay hanno dimostrato di non meritare le critiche che ogni giorno ricevono.

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