Nell'Italietta tendenzialmente esterofila e oggi - quando patriottica - capace solo di sfornare venti nuovi fenomeni della canzone ogni mese, da spremere senza pietà a colpi di marketing forzato per vendere come artistico il nulla, continuo a chiedermi perché i veri grandi cantautori nostrani siano stati relegati in una nicchia da cui non potranno mai uscire.

Gianni Pedretti, in arte Colloquio, da oltre trent'anni produce canzoni di invidiabile qualità. Non ha nulla da temere nel confronto sia con i blasonati grandi nomi ormai vetusti e calcificati della tradizione nostrana; tanto meno deve temere il confronto con qualunque nuova leva che seppur talentuosa gode di sproporzionate attenzioni grazie al management e al marketing.

Colloquio è un progetto di cui ogni tanto si parla. Se ne parla bene, ma pochino. Io ho recuperato il nastro de Il giardino delle lacrime che credo sia il lavoro d'esordio del Pedretti. All'epoca pubblicato solo su cassetta e penso mai ristampato su altri supporti. Un album curato nella confezione e musicalmente ancora un po' acerbo, rifinito solo a tratti. Però di una potenza emotiva che lascia il segno.

Canzoni come "Io e te Pier" o "Bella vita" hanno un'atmosfera trasognata e avvolgente che rende penetrante anche i passaggi lirici più semplicistici. La poesia di Colloquio è itimistica, decadente, quasi gozzaniana. Si sente l'odore delle vecchie buone cose, ma si sente anche la volontà di toccare corde profonde con un sound che io definirei "da contemporary chamber". Un misto nobile di lounge, minimalismo, easy-jazz e un po' di elettronica.

Qua e là imprecisioni e ingenuità tipiche di una produzione autonoma da esordiente non guastano la complessiva coesione dell'opera. Pedretti ha poi dimostrato con successivi lavori di avere la grana fine e di saper dare la veste musicale ottimale ai suoi testi disincatati. In pezzi come "La forma dell'addio" c'è una potenza emozionale ed evocativa che ho trovato di rado nel cantautorato italico. E poi la traccia finale "La dea dal trono d'acciaio" dedicata a una sfortunata amica costretta sulla sedia a rotelle: pezzo magnifico, toccante, saggio nelle parole e trascinante nel ritmo, col finale strumentale che trappa un brivido.

"Ma seguimi ti prego: questa è così falsa che a volte sarebbe meglio soltanto sognarla."

Pelle d'oca.

Ecco, abbiamo bisogno di gente come Gianni Pedretti perchè ci restituiscono la certezza che la scena musicale italiana sopravvive al di là delle mode costruite a tavolino e dei trapper che nascono al mattino a vengono ghigliottinati alla sera. E forse anche perchè compensano quel senso di sbilanciamento che uno come me prova quando è costretto a mettere su un disco di cinquant'anni fa di De Gregori per rifarsi un po' la bocca.

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