da No Future a Finis Terrae

Con l'emblematico cambio di nome (da CCCP-Fedeli Alla Linea a CSI) la formazione di Massimo Zamboni, Giovanni Lindo Ferretti e gli ex- Litfiba Gianni Maroccolo (già al lavoro su "Epica Etica Etnica Pathos", ultimo capitolo del più importante gruppo del punk d'avanguardia italiano) Francesco Magnelli e Giorgio Canali (Ringo De Palma per un periodo in formazione sarebbe prematuramente scomparso) sembra voler "sottolineare" una sorta di presa d'atto: da sempre sensibili all'assetto geopolitico del mondo, e alle dimensioni umane che esso racchiude, sembra voler registrare la traumatica disintegrazione dell'URSS (nella lingua slava appunto Cccp) e il passaggio al nome Consorzio Suonatori Indipendenti, sembra quasi un pretesto per continuare un gioco di assonanze ("CSI" è anche il nome della Russia post-sovietica).

Millenaristico e alchemico, sin dal titolo, l'album musicalmente si attesta lungo una linea di continuità rispetto alla citata ultima opera dei Cccp, ma con più pacatezza, riflessività, introspezione, più incentrato sulla dimensione dell'esistenza individuale che in passato, chitarre elettriche, percussioni ipnotiche, soprattutto nello splendido incipit "A Tratti", e nella post-moderna "Celluloide", momenti ancora più statici, quasi immobili, ma che si tratti di una calma apparente è un sospetto che affiora.

Riepilogando, se il talento poetico di G.L Ferretti è indiscutibile, (si potrebbe parlare di cantautorato post-punk) e questa opera prima ne è globalmente una perfetta conferma, vanno esaminati più in dettaglio i singoli momenti di quello che sembra ritrovare coesione in una architettura quasi "concept".

"A Tratti", con l'incedere percussivo e reiterato, i giri di chitarra elettrica, e l'esplosione finale, sottende un mondo visto in un'ottica minimalista, incentrata sui dettagli "più forti del dovuto", quasi la parte identificata come il tutto, caratteristico segno della disgregazione esistenziale che caratterizza l'età contemporanea. Il verso chiave "un battito di ciglia sonnolente racchiude un'esistenza" e il ritornello con la voce sciamanica di Lindo Ferretti "cosa fare non fare quando dove perché e ricordando che tutto va come va ma non va non va non va" è sottilmente (per ora) ma estremamente inquietante; del finale anti-politico e pseudo-individualista (non fare di me un'idolo mi brucerò, cosa fare non fare non lo so quando dove e perché riguarda solo me) sembra racchiudere domande senza risposta, sereti destinati a rimanere confinati nell'animo di chi racconta (oltre che Lou Reed, sembra di sentire abbastanza Ian Curtis). "Palpitazione Tenue", invece, è interamente autobiografica. G.L. Ferretti ha dichiarato di essere estremamente legato a questa canzone, ma nell'economia dell'album suona come un episodio minore. Nemmeno troppo riuscito, per la verità (welcome to contestazioni). Non mi piacciono parole come "allucinato secco, ma non era ancorato e volò via". La successiva "Celluloide" è una sbalorditiva idea di "cut and paste" cinematografico, la velocità è accelerata al massimo, le chitarre sono aspre e corrosive, il testo è una successiiori testi eone di titoli di films "via col vento il vento della steppa balla coi lupi..." intervallato dal ritornello urlato in stile punk "c'è tanto da imparare", ma la linea tematica non si interrompe: in una identità sociale in frantumi, in uno scenario geo-politico disintegrato, con alle porte una guerra spaventosa e nascosta, l'urlo di G.L Ferretti sembra più un grido di dolore esistenziale che un insulto fine a se stesso alla maniera dei Sex Pistols.

"Del Mondo", in chiave di leggenda antica, fiabesco, ma con un finale amarissimo, racconta simbolicamente il degrado dell'umanità, si protende a guardare oltre la siepe per scorgere il profilo del baratro. Ma (parere personale) sebbene scelta come singolo apripista, non convince fino in fondo. La successiva "Home Sweet Home" invece è strepitosa: su un riff hard-rock alla Deep Purple, si dispiega uno dei migliori testi dell'album: "per passeggiare preferisco all'alba la brughiera, batte la pioggia sui miei passi e li rincuora", poesia simbolista (alla G. Pascoli), e refrain in inglese, non la canzone più importante, ma un excursus autobiografico-poetico, davvero fresco e originale.

L'afflato millenaristico ed escatologico si fa sentire in "Occidente" e "Memorie di Una Testa Tagliata".

La prima riassume il leit motiv dell'intera opera  ("luogo da cui non giunge suono, luogo perduto ormai"), la seconda, con un incedere dolce, arpeggiato, carezzevole, è un esplicito ricaferimento alla tragedia balcanica, alle sue atrocità, a un orrore inenarrabile, ma che il Poeta tenta disperatamente di raccontare (il tentativo di immaginare la linea di confine tra la vita e la morte fa riaffiorare il ricordo della "Ballad des Pendues" di George Brassens, ripresa nella "Ballata degli Impiccati" di Fabrizio de Andrè).

Ma il vertice lirico e musicale si raggiunge con "Finisterre": il titolo si rifà al nome di una località della Provenza, in realtà il doppio-senso è fin troppo chiaro: "FinisTerre = Finis Terrae" cioè "Fine del Mondo": apocalittica nei verso e nella musica, martellante nella ritmica, sferzante nei riffs chitarristici, con la voce salmodiante di Giovanni Lindo Ferretti: "annus horribilis in decade malefica osceno e pavido grondante sangue e vacuo di promesse già scritte e smarrite", e ancora "il cielo è scudo labile, il lato oscuro avanza" il Vuoto, nessun "horror vacui" ma horror e basta, paura panica, teatralizzata in forma rock sferzante e lancinati versi.

Dopo un simile uragano si ritrova la quiete e una forma più pacata di poesia: l'interludio strumentale-vocale (la voce è di Ginevra di Marco) "La Lune du Prajou", e quindi "In Viaggio" (lo stesso Ferretti avrebbe svelato di aver più volte pensato di escluderla dall'album) è una bellissima sequenza di immagini naturalistiche-umane, sul tema del movimento "viaggia la polvere viaggia il vento viaggia l'acqua sorgente" e la conclusione è affidata ai versi "viaggiano i viandanti viaggiano i perdenti più adatti ai mutamenti"

La chiusura di quest'opera a cinque stelle è affidata a un brano forse minore, ma distensivo: "Fuochi nella notte di San Giovanni". Una danza tribale, quasi un'atto di speranza e un'invocazione alla ritrovata umanità attraverso il contatto con la natura.

Potrei azzardare, (seppure la contestazione ci sia già stata) un parallelismo: laddove simili avvisaglie vengono fatte deflagrare dalle ritmiche post-industrial-death dei Fear Factory, dal noise-core-rap dei Rage Against The Machine (ma ancora in chiave politicizzata, di suprema denuncia di un Mondo ai margini), i CSI non invocano la "Risurrezione nelll'Oppressione" ("Rise Above Oppression") nè la traccia di una bomba incendiaria ("Bombtrack"), il loro discorso parte dalla matrice punk comune a tutte queste esperienze (quelle citate sono USA) ma si colloca su un piano differente. 

"Ko De Mondo" registra spiritualmente le scosse sismiche del mondo contemporaneo, con estrema sensibilità, coglie gli sfaldamenti, le fratture e le lacerazioni dell'esistenza e affida alla Poesia il tentativo di una, seppur momentanea, ricostruzione.

"La Bellezza Salverà il Mondo".

Chissà. Per ora possiamo dire che questi sono i CSI. E non è affatto poco.

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