La visione di un film come "The Substance" della regista francese Coralie Fargeat mi ha fatto considerare come certe opere possono piacere o non piacere, ma certamente non possono lasciare indifferente lo spettatore. Un po' come succedeva con le pellicole di Pasolini: senz'altro controverse ma per nulla insignificanti. Anzi, potevano risultare come una specie di pugno nello stomaco, forse salutare nel richiamare l'attenzione di un pubblico un po' intorpidito. In questo caso specifico, è un po' riduttivo etichettare il film come esempio di body horror, perché la regista mette tanta carne al fuoco e stimola non poche sane riflessioni.

La protagonista è una certa Elisabeth Sparkle (interpretata dalla brava e bella Demi Moore), un tempo diva hollywoodiana e ora conduttrice di un programma televisivo di aerobica (un po' sulla falsariga di Jane Fonda). Il programma avrebbe un buon Indice di gradimento, se non fosse per un piccolo difetto: l'ex diva è ormai una donna di mezza età, per quanto possa essere esteticamente piacente. Il che, secondo certi parametri di riferimento del mondo dello spettacolo, non può restare valido ad infinitum. E pertanto il direttore televisivo di nome Harvey (Dennis Quaid superlativo nel proporre un personaggio maschile arrogante e volgare nei suoi atteggiamenti) decide di licenziare Sparkle, con l'intento di sostituirla con una giovane emergente. Ovvio che l'anziana (?) si senta demoralizzata e in preda a pensieri cupi rimanga coinvolta in un grave incidente stradale, da cui esce miracolosamente illesa. Poco prima di lasciare l'ospedale, un infermiere le lascia una chiavetta USB recante sommarie informazioni su una misteriosa terapia denominata "The Substance". Sarebbe sostanzialmente una specie di liquido che, iniettato nel corpo, creerebbe per partogenesi un alter ego più giovane della persona interessata alla terapia. Una copia più bella e perfetta, in barba all'inesorabile scorrere del tempo. Tutto questo attenendosi ad una condizione inderogabile: le due entità, che restano pur sempre la stessa persona di età differente, devono alternarsi ogni 7 giorni e una delle due resterà in ibernazione , mentre l'altra potrà condurre una vita attiva.

Tutto parrebbe andare per il verso giusto e la giovane versione di Elisabeth, di nome Sue e ben resa dalla smagliante Margaret Qualley, riesce a diventare la nuova conduttrice del programma di aerobica. Ma proprio qui il meccanismo della terapia "The Substance" si inceppa: se Sue riscuote un tale successo da diventare una nuova star hollywoodiana, Elisabeth inizia a entrare in depressione e, ancor peggio, la clausola specifica dell'alternanza dei 7 giorni non viene più scrupolosamente rispettata. E ciò avviene poiché Sue, come qualsiasi giovane, è affamata di vita, di esperienze varie, non ha quella saggezza acquisita dalle persone mature. Insomma, tutto va inesorabilmente a rotoli, scivolando verso un finale orrido e grandguignolesco (qui forse la regista eccede nel disgustoso).

È inevitabile un crescendo rossiniano di svolte drammatiche e indubbiamente la visione non è adatta ad un pubblico facilmente impressionabile e di stamaco debole (non nel mio caso, oltretutto reduce da un sostanzioso pranzo a base di pasta e tagliere di formaggi e salumi). Ma il film vanta vari punti di forza. Intanto, l'aspetto tecnico è massimamente curato, sia per la recitazione delle attrici (a loro agio anche nei passaggi più scabrosi e disinibiti) e attori prima citati, sia per una serie di effetti speciali di gran livello (un plauso va espresso a Pierre Olivier Persin, responsabile di questo aspetto).

In più, la regista dimostra una solida cultura sia generale (rimandi letterari a Oscar Wilde e Franz Kafka, pittorici a Francis Bacon), sia cinematografica. E qui non è solo il filone del body horror (echi di Cronenberg, Lynch, Zemeckis), ma anche certi richiami a Kubrick (quello di "2001: odissea nello spazio", "Arancia meccanica", " Shining"), nonché il tema del doppio in chiave femminile (come non ricordare "La donna che visse due volte" di Hitchcock?).

Ma, oltre a quanto sopra, i temi insiti nella vicenda sono decisamente tosti. C'è la reificazione del corpo femminile secondo i canoni di bellezza vigenti nel mondo dello spettacolo, molto maschilista certamente ma pur sempre sorretto da forte vanità e accesa competizione femminili ( una bella donna di mezza età vedrà con preoccupazione l'esordio di una rampante ventenne, affamata di successo e denaro). E risulta paradossale che un siero chiamato "The Substance" agisca sulla forma esteriore della persona, ma finisca con il danneggiare l'Io di chi fa uso di tale intruglio. Insomma la "Sostanza" nuoce interiormente, anche se rende apparentemente belli e performanti. E tutto nasce da una grande illusione: fermare il tempo, quel flusso inarrestabile che tutto muta ( già il filosofo greco Eraclito aveva teorizzato più di 2500 anni fa il "panta rei" o tutto scorre). Ci si può provare a sfidare la natura in cui si è immersi, ma prima o poi arriva il conto salato.

Se poi si tiene conto dell'esistenza di un fiorente settore (mai in crisi, come l' industria degli armamenti) dedicato alla chirurgia estetica (silicone iniettato nelle tette, botulino a gogò, liposuzione, ecc ), le terapie anti invecchiamento ( tanto per dire le diffuse creme antirughe) , e via elencando, il quadro è molto ampio e denota una sostanziale insoddisfazione di sé, da parte di molte donne e molti uomini (e ciò vale anche per chi non è un personaggio pubblico).

Forse "The Substance" può risultare urtante, ma ha il pregio di indurci ad osservare più attentamente la realtà in cui siamo immersi e in cui non sempre percepiamo appieno il vuoto interiore di tante, troppe persone. Forse, per rendercene conto, tornerebbe utile non solo il film di Coralie Fargeat, ma anche ricordare quanto scriveva tempo fa, in modo paradossale, Rainer Maria Rilke: "La bellezza è solo l'inizio del tremendo".

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