"L'essenza della carne è la decadenza. La funzione della carne, collocata nel trascorrere del tempo, è quella di testimoniare la distruzione e la decadenza." Yukio Mishima, La decomposizione dell'angelo
Il tempo, si sa, non risparmia nulla e nessuno, divorando tutto quel che di materiale con esso entri a contatto. Tra cui tutti noi, ovviamente. Soggetti alla gravità e all'entropia.
Il cinema narrativo parte da una domanda di base: "e se?".
The Substance si chiede cosa accadrebbe se una sostanza sperimentale potesse in qualche modo risolvere questo irrisolvibile problema della condizione umana.
Ma non è tanto - e non solo - la bellezza estetica a sfiorire. Non è un caso che, per interpretare il bellissimo personaggio protagonista Elisabeth Sparkle, sia stata scelta una donna come Demi Moore, sessantenne che mette in scena una cinquantenne, ancora stupenda, molto più di diverse attrici con la metà degli anni.
A decadere, è piuttosto l'idea della bellezza come imposta dal mondo dello spettacolo, che dopotutto, non è che la diretta espressione della società stessa.
Una società spietata e nichilista, che mastica e sputa ogni suo figlio non appena raggiunto un termine d'età. Per un rinnovamento continuo e indifferente.
Cane mangia cane. Nulla che sia nemmeno personale.
È semplicemente il business, dato dall'indice degli ascolti e delle visualizzazioni.
Ma è da questa eterna dinamica che nascono i mostri.
Lo space child di 2001: odissea nello spazio, l'uomo nuovo che rappresenta il futuro della specie umana, è così, nel parto di questo tipo di società dei consumi e dei media, una creatura malforme, mostruosa, ripugnante.
The Substance è un pastiche di citazioni che formano un mosaico, in cui a prevalere, infine, è su tutto il grottesco, la deformazione, il sangue che inonda e sommerge ogni cosa, rievocando il celebre finale di Carrie, uno dei molti film per l'appunto citati.
Altri: Shining, Viale del tramonto, Mulholland Drive, Re-Animator, The Elephant Man. Il body horror cronenberghiano.
Ma pur inglobando molti rimandi e non trattando una tematica di per sé nuova, The Substance trova la sua via originale per distinguersi e non risultare solo un giocattolo postmoderno.
L'idea dello sdoppiamento della protagonista, le cui due entità sono, al contempo, sia un unico che però in costante tensione reciproca. Elisabeth e Sue, invero, si disprezzano l'un l'altra, pur essendo le due facce della stessa medaglia di insicurezza e vanità.
Il film tocca delle alte vette quando parla di questi sentimenti, dell'insicurezza e dell'odio verso se stessa di Elisabeth, portati alle estreme conseguenze da questo circolo vizioso di consumazione dei corpi e delle immagini. E il modo in cui Sue uccide la sua matrice, infierendo senza pietà, mostra tutta la non accettazione dell'invecchiamento, e l'odio verso l'immagine di sé una volta persa l'illusione della giovinezza. E più di questo, è proprio l'odio verso l'ineluttabilità del tempo e del decadimento. Uno dei grandi tabù del mondo moderno.
The Substance mette in scena la rabbia verso la gabbia della carne.
Una rabbia tanto irrazionale quanto comprensibile e umanissima.
Fuori di testa e sopra le righe, forse anche troppo, The Substance è permeato dapprima da un'atmosfera inquietante e sottile, per poi abbandonarsi a un umorismo nero fuori controllo e a sensazioni di repulsione e disturbo, nei confronti di scene che mostrano esplicitamente la deriva in cui si sprofonda quando l'ego e il fattore psicologico prendono il sopravvento rispetto allo scrupoloso rispetto delle istruzioni mediche della sostanza.
Perché, d'altra parte, fin da subito di questo si è trattato: di ego e psicologia.
Hollywood, con le sue luci e promesse, estremizza il desiderio di risplendere, così appesantendo anche la caduta e il dolore dello schianto.
La candela viene bruciata dai due lati. Le stelle del firmamento sono come i replicanti di Blade Runner, destinati a vita breve e a scomparire come lacrime nella pioggia.
Dopo una splendente quanto effimera parabola.
Hollywood e la sua minore e ancora più meschina emanazione, ovvero la televisione, alla fine non rappresentano che la più antica e ingenua delle utopie dell'uomo fin dalle sue origini: l'immortalità.
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