Sferzate rabbiose e buie, riff impregnati di elettricità velenosa, un cantato cupo e ringhioso, precursore di una certa impostazione grind di là da venire, melodie corposamente puntute e un continuo delirio senza sosta, guidati da martellate vigorosamente ammorbanti... insomma una sorta di danza che scuoia e logora dal di dentro, una miscela di corrodente thrash che strappa, lacera e spazza via maledettamente bastardo... ogni nota una accettata decisa, precisa e sanguinolenta.
Questa potrebbe essere la summa inequivocabile di "Punishment for Decadence", uscito sotto l'egida della Noise Records nel 1988, primo tappa della crescita musicale degli svizzeri Coroner verso la loro naturale evoluzione verso quel tecno-thrash progressive dai toni decisamente eclettici e le atmosfere autoavvolgenti, inquietanti e quadrate della loro ultima produzione.
Tommy Baron è il nucleo geniale e onirico attorno al quale nasce e dalle quali dita si sviscera la potenza funambolica e tagliente del Coroner pensiero, una fonte inesauribile di riff spacca mascella fiammeggianti ed estremamente tecnici ma mai autocompiacenti che spigolosamente si incastrano geniali tra le linee di basso di Ron Royce e le ritmiche possenti e decise di Marquis Marky, il genio visionario della band - autore della maggior parte dei testi e delle copertine noir della band -.
La prova tangibile è a portata d'orecchio già a partire dall'accoppiata Absorbed e Masked Jackal, due arrembanti e schizoidi frecce che il nostro trio rossocrociato lascia scoccare dal proprio arco in scioltezza e con una potenza devastante resa ancora più affascinante dai cambi di tempo mozzafiato e dagli assoli gustosi e dal rifferama deciso che Tommy Baron propina sapientemente.
La compattezza sonora che si sprigiona senza fronzoli scivola via con una facilità incredibile e senza sosta: dall'eccezionale strumentale Arc-lite di sapore malmsteeniano alla inesorabile Skeleton On Your Shoulder, piccola scheggia impazzita geniale nella sua atmosfera cupa e tagliente con Baron e Royce all'unisono che non perdono un colpo, a The Sudden Fall, altra spietatissima mazzata impreziosita dai soliti cambi di tempo e da una cattiveria solistica quasi scientifica, alla monolitica Shadow of a Lost Dream, sostenuta da una prestazione della sezione ritmica davvero impressionante e dalla cura certosina di Baron nella scelta della costruzione ritmica alla chitarra, alla malata The New Breed furiosa e visionaria cavalcata dagli inserti neoclassicheggianti che Baron snocciola a perdifiato e che travolge come un fiume in piena, fino alla ruvida claustrofobica e spigolosa Voyager To Eternity, forse un gradino sotto l'intero pacchetto del full-length.
Impressionante che siano solo tre gli artefici di tanto frastuono sonoro inarrestabile e altrettanto impressionante è che dietro tanto lavoro solistico ci sia solo una chitarra e che Baron non faccia avvertire la mancanza di un chitarra ritmica di supporto. Come a dire qui ci sono io e basto e avanzo! Eccome!
Menzione a parte merita la traccia conclusiva Purple Haze di Hendrix, simpaticamente e scherzosamente coverizzata che rimane spoglia senza dubbio della sua aura blues e catchy per diventare un granitico concentrato di energia ed elettricità metallizzata rafforzato dalla reprise finale con Marquis in doppio pedale in fading out. Piacevole esperimento e di sicuro impatto, anche per chi come me è un Hendrixiano straconvinto - del tipo nessuno suona Hendrix come Hendrix.
See Ya!
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