Appena due anni dopo il seminale “The Principle of Evil Made Flesh”, considerato da molti un caposaldo del Black-sinfonico, i Cradle of Filth, gruppo quanto mai discusso e criticato, sfornavano un EP dotato di rara e maligna bellezza.

Di lì a poco sarebbe stato pubblicato il maestoso “Dusk & Her Embrace”, e questo “Vempire”, un EP dotato di 6 bellissime canzoni, ci anticipava già un' evoluzione nei dettagli anche abbastanza rilevante: lo scream di Dani si faceva più acuto e ricco di catarrosi falsetti, la produzione migliorava leggermente, dando più importanza agli arrangiamenti sinfonici che alla potenza delle chitarre. Quindi, tutte caratteristiche che fecero di “Dusk & Her Embrace” quel piccolo capolavoro di atmosfera mistica e morente. Ma parlando di questo mini, “Vempire" contiene delle canzoni inedite e spesso riproposte dal vivo: parlo di “Ebony Dressed for sunset” o la sinistra e maestosa “Queen of winter throned”. Inutile sottolineare come alcune polemiche, già alla pubblicazione di questo EP, si alzarono: “Vempire” fu additato come un riempitivo post-” The princple of evil made flesh”, forse una specie di pubblicazione forzata, forse guidata da accordi con le labels. Ma, bando alle polemiche, sin dagli esordi inevitabili per questo combo inglese, la qualità del prodotto è indubbia.

Il disco si apre con “Ebony dressed for sunset”, piccola canzone, veloce e energica. Subito balzano all'orecchio i sinistri growl di Dani e il suo inconfondibile scream. Si continua subito con un classico del gruppo, qui rivisto e riarrangiato: “The forest whispers my name” era già un brano mirabolante e spettacolare, ma in questa versione acquista ancora più bellezza. Inutile invece soffermarsi sulla bellezza di un pezzo tanto lungo quanto suggestivo: “Queen of winter throned” è una perla variegata, dotata di diversi momenti emozionanti. “Nocturnal supremacy” ricalca stilemi più evoluti nel successivo “Dusk & her embrace”, con ritmche serrate al limite del black. “She Mourns a Lengthening Shadow” è un piccolo preludio strumentale al secondo “must” del disco: “The rape & Ruin of angels”, dotata di una durata considerevole (sempre meno di “Queen of winter throned”) ma che scivola via. Canzone a tratti brutale e massacrante, dotata anche di una piacevole sezione lenta al suo interno.

Sicuramente una tappa fondamentale per capire l'evoluzione del gruppo quando ancora muoveva i primi passi. Uno stile intermedio tra le sfuriate classicamente black dell'esordio fino alle sfumature più sinfoniche del loro secondo album. Consigliato ai fans e a chi magari vuole conoscere di più questa controversa e discussa band.

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