Attivi sulla carta dal 1994 ma spietati creatori di oscurità dal 1999, gli svedesi CRAFT approdano al disco della consacrazione. Dopo perle quali "Terror Propaganda" e "Fuck the Univers", John Doe e Joakim Karlsson danno alle stampe il loro disco più maturo, discostandosi nettamente da quelle che erano le loro primordiali e più grezze origini per approdare a nuovi lidi costellati da una produzione più limpida è più potente di quanto non abbiano mai avuto.
Dimenticate i riff classici black metal ai quali ci avevano abituato e mescolate sapientemente la vecchia creatura Craft a nuovi dettami stilistici provenienti dalla scuola rock di altri tempi (Black Sabbath su tutti). Infatti non rimarrete che stupiti dal fatto che la band finalmente ha preso corpo ed ha trovato una miscela esplosiva fatta di nero culto e rimandi ai classici mostri sacri del rock di quarant'anni fà. La stessa "Come Resonance of Doom" porta in sè il 99% del concetto "puro metallo nero".
Si avvale di un riff portante molto doom-oriented e di divagazioni black classiche ma con accenni violenti alle evoluzioni del genere degli ultimi 5/10 anni. L'ombra dei Satyricon di tanto in tanto spunta fuori e i nostri hanno implementato fortemente quest'influenza in favore a una preponderanza minimalista presente in quasi tutti gli episodi del disco (The Ground Surrenders).
Non ci sono assalti sonori di rilevanza, piuttosto tutte le traccie vanno avanti a moderata velocità e schiacciano l'ascoltatore sotto una continua pressione negativa.
In alcune parti più "black'n'roll" oriented ricordano i migliori Carpathian Forest, ma attenzione ricordano, non ricalcano assolutamente! Nota negativa l'uso della drum-machine che ha tolto quel valore aggiunto all'opera ma che innegabilmente ha reso più fredda la loro già lancinante sonorità. In fin dei conti i CRAFT sono la naturale evoluzione di un genere che ha più o meno detto tutto, là dove nel 1999 erano stati già scritti i migliori dischi in ambito Black e ben pochi potevano successivamente minare le basi dettate dai masterpiece del genere.
"Leaving the Corporal Shade" appare come l'episodio più ispirato dell'intero disco che con un incedere clamorosamente lento e nefasto ci conduce attraverso un buio vuoto privo di senso. I riff si accavallano disturbando le linee melodiche e la voce ammanta di sofferenza tutto il pezzo per poi sfociare in un deflagrante suicidio sonoro.
"I Want to Commit Murder" è il pezzo più classico del platter con chiare influenze thrash anni '80 e rimandi ai primi Celtic Frost (assolo in primis). Passiamo successivamente a "Bring on the Clouds" (senza infamia e senza lode) e a "Void", la track più sperimentale del full.
In definitiva un ottima prova della band Svedese e una conferma al 100% nella scena estrema scandinava.
Promossi per l'ottimo packaging e i suoni terribilmente freddi e calcolati.
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