Gli dei del rock, si sa, sono capricciosi e spesso "condannano" all'oblio senza apparente motivo formazioni che avrebbero meritato ben altro destino. Il fitto sottobosco del progressive e della psichedelia inglese a cavallo degli anni '60 e '70, in particolare, è ricco di band che come meteore sono apparse sulla scena e, dopo pochi anni di attività, sono scomparse nell'indifferenza generale, per essere magari riscoperte dopo un paio di decenni. Questi Cressida ne sono un esempio, certo non l'unico e forse non il più significativo, ma sicuramente uno tra quelli che meritano di essere ricordati.

Il gruppo, il cui nome tradisce l'ispirazione neoclassica, si forma nel 1968 attorno al tastierista Peter Jennings (Hammond, piano), con Angus Cullen alla voce, John Heyworth alla chitarra, Kevin McCarthy al basso e Iain Clark alla batteria. Nel 1970 i Cressida pubblicano il primo album omonimo, il settimo del catalogo della celeberrima etichetta Vertigo, un lavoro godibile, ricco di melodie garbate e malinconiche, già rappresentativo del sound della band ma ancora debitore del pop sinfonico e sovrastrutturato di derivazione beatlesiana di gruppi quali Moody Blues e Procol Harum. Il successivo "Asylum" (1971), con il nuovo chitarrista John Culley, è invece deciso nel parlare un linguaggio già pienamente progressivo, pur senza negare i debiti verso certe sonorità tipiche degli ultimi sixties. Dietro la splendida copertina metafisica, realizzata da Marcus Keef, si cela infatti uno dei lavori più riusciti ed equilibrati del primo progressive, caratterizzato da un'atmosfera sognante e vagamente malinconica, un rock sinfonico e romantico, eppure sempre compassato e garbato, mai prolisso e scevro da barocchismi esasperati e ridondanti.

La mini-suite "Munich", forse la composizione più rappresentativa dei Cressida, giocata su un morbido dialogo tra organo e chitarra elettrica, impreziosita da misurati inserti orchestrali e dai fiati di Harold McNair, e resa indimenticabile dalle splendide melodie vocali di Cullen, ben testimonia questa atmosfera serena e incantata, quasi fiabesca, un mondo in grigio e rosa che ci richiama alla mente i coevi Caravan.
Il resto dell'album non è comunque da meno, proponendo pezzi di vigoroso rock sinfonico ("Lisa", "Asylum"), brevi brani più incalzanti e accattivanti ("Goodbye Post Office Tower Goodbye", "Survivor"), intermezzi di raffinato pianismo jazz ("Reprived") e ballate folkeggianti ("Summer Weekend Of A Lifetime"), fino ad arrivare alla splendida suite conclusiva, "Let Them Come When They Will", dall'andamento altalenante, ora calmo e trasognato, ora più urgente e concitato. Il tutto interpretato con quella grazia compassata e quell'ammaliante cadenza, che costituiscono la cifra stilistica dell'intero lavoro.

Dopo la pubblicazione di "Asylum", i Cressida, delusi dallo scarso interesse suscitato dal disco (si parla di non più di ottocento copie vendute), alla scadenza del contratto con la Vertigo chiudono la loro esperienza musicale (rivedremo il batterista Clark negli Uriah Heep e il chitarrista Culley nei Black Widow), lasciando due splendidi lavori, oggi considerati tra i migliori esempi del primo progressive inglese, che meritano di essere riportati nella giusta considerazione, seppur non come capolavori, almeno come degni testimoni del loro tempo.

Carico i commenti... con calma