Mai sentito nulla di simile; non è un epitaffio, è semplicemente la prima considerazione che viene in mente dopo l’ascolto di anche un solo pezzo di questi svedesi. Andiamo ad analizzare le cause di questa mia brachilogia.

La band nacque sul finire degli anni ottanta e si spense prematuramente nel 1993, vale a dire subito dopo la pubblicazione di “World Of Myths” per la neonata casa discografica Adipocere; tenete ben a mente questa data perché vi aiuterà a capirne la grandissima, direi quasi impensabile, innovazione che questi sei ragazzi hanno saputo mettere in musica.

Ricordo che in quell’anno, in ambito di metal estremo, le cose più interessanti che giravano erano “Individual Thought Patterns” dei Death (grandioso), il micidiale “The Erosion Of Sanity” dei Gorguts e infine il capolavoro “Focus” dei defunti Cynic: bè, questo sconosciutissimo album si può collocare tranquillamente sulla scia di quelli sopra elencati (si avete capito bene, anche accanto ai Cynic). Le release della band furono veramente esigue e si trattava prevalentemente di Ep, Split o Demo, cosa che contribuisce a rendere unico questo Lp. La proposta è quella di un Death metal a metà tra il Progressive e il melodico, ma potrei addirittura affermare che la melodia è solo funzione dello sperimentalismo.
La struttura delle otto canzoni che lo compongono è estremamente varia e praticamente non segue uno schema: si può notare che i tempi siano sempre abbastanza cadenzati, ma mai troppo lenti. La grande alternanza con accelerazioni contribuisce infatti a vivacizzare il lavoro senza farlo scadere nella immobilità o, quel che è peggio, nella noia. Da notare la presenza di pezzi strumentali (della notevole durata e costituiti principalmente da assoli stupendi) e di intermezzi in cui sono le keyboard a farla da padrone. Infatti il gruppo vede nelle proprie file anche un ottimo tastierista, capace di apportare alla proposta una certa dose di melodia molto soffusa e tutt’altro che prepotente. Questi si dimostra in grado di andare oltre il classico uso della tastiere tipico del Death melodico (e comunque vi faccio presente che, se si escludono gli 'Unanimated', il melo Death non era ancora nato nel 1993) e arriva in territori inesplorati, quasi jazzistici.

Il pezzo forte sono però i chitarristi, due autentici virtuosi del loro strumento: il loro stile è assolutamente molto simile a quello del mitico cantante chitarrista dei suddetti 'Death', Chuck Schuldiner. Non è un’ eresia, è la pura verità; infatti i nostri si esibiscono in assoli complicatissimi, pieni di scale e di difficoltà tecniche non indifferenti, ma in grado di mantenere una certa melodia e di conservare la propria organicità. Tuttavia la loro bravura non si ferma alle parti soliste (numerosissime, quasi costanti): anche il riffing appare molto intricato, ricco di controtempi, parti gemelle e passaggi veramente problematici (anche acustici).

Il batterista svolge un lavoro altrettanto eccellente: accanto a classiche accelerazioni (che comunque, ci tengo a ricordarlo, all’epoca non erano nemmeno tanto classiche) in doppia cassa e a rallentamenti molto atmosferici, il drummer riesce ad inserire tempi dispari, che in qualche passaggio ricordano quasi i futuri Meshuggah (!!!). Anzi potrei dire che questo ragazzo ha delle trovate veramente originali che ben esaltano tutta la sua perizia. Nota di merito anche per il cantante che riesce a cambiare voce con una certa destrezza adeguandola al pezzo che deve interpretare: da un growling profondo tipicamente Death, passa senza problemi ad uno screaming quasi pulito e non fastidioso per poi abbandonarsi a clean vocals (in certi punti quasi Thrashy) nei momenti più solenni e carichi di pathos.
Meno rilevante la prestazione del bassista, in sordina e non particolarmente incisivo. La produzione è adeguata al lavoro, anche se sulle prime potrebbe sembrare un po’ fredda e “vuota”: in realtà tali caratteristiche consentono di sviluppare meglio il mood rendendolo più etereo.

Come dicevo, le song non hanno una struttura caratteristica, ma questo non toglie compiutezza al lavoro, anzi, esalta la versatilità dei musicisti e la loro fertilità in sede di scrittura: accanto a componimenti più marcatamente Death (“The Ancient War” per esempio), se ne trovano altri più melodici ed innovativi. Da notare come entrambi i tipi di canzone riescano a mantenere inalterato un mood veramente particolare, ricco di passione, di momenti intimi e profondi, di cariche emotive eccezionali e oniriche.
Tutto questo senza danneggiare in alcun modo la potenza che il Death metal sa generare; insomma, un feeling veramente struggente e da assaporare in ogni singola nota. Ci tengo a sottolineare ancora una volta le somiglianze con il Death più progressista di gruppi come Death, Atheist e Cynic.

Mi dispiace infinitamente dover constatare ancora una volta che dischi e complessi come questo passano sottovoce e sono ignorati, destinati ad un lento ma inesorabile oblio: la qualità tecnica e compositiva di “World Of Myths” e la sua ipnotica ed avvolgente atmosfera ne fanno un disco che meriterebbe gloria infinita, ascoltare per credere. Non amo ripetermi, ma l’unica cosa che mi viene in mente è: mai sentito nulla di simile.

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