"Inerrant Rays of Infallible Sun (Blackship Shrinebuilder)", uscito all'indomani di "Black Ships Ate the Sky" (è ancora il 2006),  è uno split di due brani che consacra l'amicizia di David Tibet e Al Cisneros, prima bassista degli storici Sleep, e poi fondatore, assieme al batterista Chris Hakius, della stoner band Om.

Stoner? Folk apocalittico? Qui c'è qualcosa che non torna.

In verità, proprio successivamente all'uscita di "Black Ships Ate the Sky" si vociferava sul desiderio dello stesso Tibet di collaborare con i terribili Sunn O))) di Anderson e O'Malley, pettegolezzo che non aveva certo lasciato indifferenti i fan più attenti alle evoluzioni sonore della Corrente.

E se ad oggi, ahimè, un tal piano infernale non sembra aver trovato attuazione, ci possiamo consolare con questo EP, dove la recente folgorazione per il verbo elettrico di Tibet trova un valido (e speriamo non ultimo) sfogo.

Con "Inerrant Infallible (Black Ships at Nineveth or Edom)" il discorso riprende di fatto proprio dalle deflagrazioni chitarristiche che avevano caratterizzato la title-track dell'ultimo full-lenght della Corrente. Del resto, già dal chilometrico titolo si capisce che il brano in questione costituisce un'appendice dell'ultima fatica discografica dei Current 93, un lavoro importantissimo, il cui concept non poteva non lasciare margini per ulteriori sviluppi.

Tibet, per l'occasione, si fa carico praticamente di tutti gli strumenti, fatta eccezione della sola cornamusa di Catriona MacAffer, contributo preziosissimo per l'economia del nuovo sound abbracciato.

Quel che ne sortirà fuori è un viaggio tremendo, l'ennesimo, temibile, rituale targato Current 93: un crescendo impetuoso e visionario in cui la poetica apocalittica che da sempre contraddistingue la visione artistica di Tibet viene calata in un inedito contesto sonoro, senza perdere in niente quanto a peculiarità, personalità ed originalità.

Un roccioso giro di basso, condito da rugginose bordate di chitarra elettrica, si reitera per tutta la lunghezza del brano (quasi dieci minuti!), fungendo da asse maestro di un temibile mantra sonoro in cui progressivamente andranno a confluire nuove stratificazioni di chitarra e l'allucinata cornamusa della MacAffer.

Tibet è un pazzo furioso, sembra tornato ai tempi della sublime "Lucifer Over London". Il suo sermone (costellato, come sempre, da bellissimi versi), è quanto di più apocalittico il folle cantore ci abbia consegnato nella sua carriera: arringhe vomitate da un predicatore invasato il cui farneticare si perde nel fragore delle onde e degli spruzzi di un mare burrascoso di chitarre e cornamuse che s'intrecciano e confondono in un tripudio di melodie oblique e commistioni dissonanti.

L'apocalisse viene oggi dipinta con la melma nera di un noise deviato e psichedelico, non scevro da contaminazioni droniche: non altro che l'estrinsecazione elettrica del cuore folk/cantautoriale della band.

Poco da aggiungere: un'esperienza da vivere, più che da raccontare.

Semplicemente onesto, invece, il brano degli Om, i quali, senza troppi stravolgimenti nel proprio sound, confezionano un corposo stoner/doom sabbathiano, da sempre loro prerogativa.

Basso distorto e batteria, riff possenti e reiterati all'infinito, rallentamenti al cardiopalma, una voce paranoica che ci trascina nella fuliggine e nella polvere di un inferno dal retrogusto seventies.

Niente da ridire nel complesso: "Rays of the Sun/to the Shrinebuilder" è un brano accattivante, dal buon groove e scorrevole, ma purtroppo privo di mordente: di sicuro non all'altezza degli standard a cui Cisneros e socio ci hanno abituato nel tempo.

Un episodio che poco aggiunge alla carriera del duo e che in nessun modo sembra essere contaminato dalla vicinanza di un personaggio dalla caratura artistica di David Tibet.

Peccato, potevano nascerne degli spunti interessanti.

Conclusioni: pur nella sua brevità, "Inerrant Rays..." costituisce a mio parere un capitolo profondamente ispirato e decisamente significativo nella più ampia discografia dell'artista inglese, possibile inizio di un nuovo proficuo percorso dell'instancabile ed imprevedibile David Tibet (che comunque aveva vagamente abbracciato certe sonorità anni prima, tuttavia non convincendo appieno, in "Horsey").

Quanto a me, esauriti i diciassette minuti di durata del cd, premo insaziabile il tasto play e mi sfalloppio nuovamente il cervello.

Sperando fiducioso che la prossima volta accanto al nome Current 93 si materializzi la parolina magica Sunn O)))!

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