Ci sono dischi che "aprono".

"Eleventeen" è una porta spalancata sul mondo perverso, psicotico e degenerato di Sua Dolcezza malata Katie Jane Garside. Anzi, è lei stessa che apre le gambe (chi conosce il personaggio, sa bene che l'immagine è metaforica fino a un certo punto...) e ti fa vedere tutto quel che c'è da vedere, di quel mondo. Cose che non credevi, anche quando pensavi d'aver visto tutto o quasi. E la reazione può essere d'orrore, ma anche di compiacimento. Il gusto di lasciarti afferrare, inerme, dai tentacoli di questi suoni così viscerali è piacere allo stato puro. Rumore, putridume e incubo. I sogni deviati di una bambina degenere. A tutto questo, somigliava il suono dei Daisy Chainsaw, fra le cose più estreme dell'underground londinese dei primi-'90.

Katie Jane è un'apolide, non si sente inglese e considera il mare la sua casa. Ha vissuto su una barca per quasi tutta l'infanzia e buona parte degli anni adolescenziali. Il su e giù dell'onda le corrisponde più della stabilità della terraferma. Ma per trovare la sua metà artistica perfetta dovette attendere d'incontrare Crispin Gray, uno che ascoltava (anche) Industrial e che la sei corde la trattava all'inizio piuttosto male, ma che ne tirava fuori lamenti e distorsioni mostruosamente sublimi: l'ideale colonna sonora-punk per un horror di Mario Bava. Più avanti, fu sempre lui a seguirla nei Queenadreena - il capitolo successivo, ma a distanza di anni, della vicenda-Garside. Sbandata e alla deriva (e tra i fumi di un delirio mentale sempre più selvaggio), Katie Jane vestì i panni di una bambolina gotica dedita a capriole sul palco e colpi di testa di svariato genere, un personaggio avulso dalla realtà con una corona di fiori in testa e una chioma ribelle degna di un'evasa da manicomio. Impressionò anche Courtney Love, che la definì una delle prime (vere) "riot grrls" - anche se Katie Jane non si riconosceva per niente (e non si riconosce tuttora) in quell'etichetta non certo da poco.

La sua non era la furia della ragazza riottosa, ma la psicopatia visionaria della posseduta - che arrivava sì all'essenza primigenia del punk, ma attraverso quel rapporto patologico e morboso con la morte e il "lato oscuro" del Rock, unendosi carnalmente coi protagonisti dei suoi peggiori incubi e cantando di scenari orribili e devastati; "questo mondo è strano ed io mi sento malata", recita "I Feel Insane", e se non è una dichiarazione  ditemi voi cos'è... Le urla penetrano a fatica il muro di un riff di chitarra martellante e spietato, rancido come latte andato a male; la voce sembra quella di chi cerca di risalire con le unghie dal fondo di un pozzo. "Hope Your Dreams Come True" flirta con la bara fin dal vampiresco video interpretato dalla Nostra, zeppo di dettagli da romanzo gotico e di lugubre immaginario da castello inglese: di Katie Jane che canta "io sono la tua salvatrice" sopra un'elettrica e tetra danza per streghe non c'è da fidarsi, e infatti - dopo una parte centrale di (apparente) calma piatta prima della follia - gli strumenti esplodono, inghiottendo nella deflagrazione ogni buona (?) speranza.

C'è tanto garage di stoogesiana memoria in pezzi come "You Be My Friend" e "The Future Free", viscerali al punto da lasciar poco spazio all'immaginazione, ma anche del blues acustico (inatteso) in una breve quanto insolita "Natural Man", e il rockabilly luciferino (gli X trapiantati in terra d'Albione, a sentirli suonare...?) di "Pink Flower" - tutto mescolato a echi della Seattle del primo grunge, quello più lercio e brutale ("Love Your Money"). La bellezza tremenda dei Chainsaw è che tutto ciò trovava spazio dentro un disco in cui hanno cittadinanza pure le allucinazioni contorte di "Use Me Use You" (raggelante) e soprattutto quella "Everything Is Weird" che fa pensare alla chiusura di un rito profano e che recita probabilmente la parte del Capolavoro - "tribal-noise"...? Si può dire? Beh, è la definizione che sempre m'è sorta spontanea, all'ascolto di quest'ultima scheggia di delirio...

...beninteso, non l'ultima di Katie Jane, che c'avrebbe ancora afferrato di peso e trasportato su sentieri - a volte - spiazzanti (vedi lo scheletrico e "bucolico" folk dei Ruby Throat). E che fra le MIE icone femminili del Rock'n'Roll sta seduta molto, molto in alto... 

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