Dopo lo scioglimento della sua band, Dan Wilson esce dal mondo discografico e si limita a suonare e collaborare con altri artisti. La lista dei musicisti che affianca è lunga, quasi quanto quella degli artisti per cui scrive brani. Nel 2006 "Not Ready To Make Nice" delle Dixie Chicks, dalle dame del countrypop composta assieme a Dan, fa il botto. Le galline sono un'istituzione in America, sinonimo di continuità con la migliore tradizione musicale statunitense. Ogni loro disco è un successo, e l'ennesima affermazione della loro bravura. Amata da critica e pubblico, "Not Ready to Make Nice" vince il Grammy quale miglior canzone dell'anno.
Rick Rubin, il famosissimo produttore, alla consolle con le signore del folk, guarda Dan suonare ed assaggia il suo talento. Com'è possibile che uno così non faccia più dischi?, si sarà chiesto il barbuto e corpulento Rick. Ed è proprio grazie a lui ed al successo di quella canzone che Dan Wilson riprende coraggio ed incide tredici pezzi fin lì rimasti chiusi nel cassetto, in attesa magari di qualcuno che le incidesse al suo posto.
"Free Life" è un disco fatto a casa sua, nella grigia Minneapolis, capitale mondiale del rock alternativo. E' un disco quasi interamente acustico da cui si evidenzia la palese matrice tradizionale del cantautorato di Dan. Brani come la placida "All Kinds", fuori dal tempo, la rappacificatrice titletrack od "Hand On My Heart" appartengono al Neil Young più melodico e col sole negli occhi, mentre il melodramma "Easy Silence" pare esser passato tra le mani di Tracy Chapman. Un disco consigliatissimo, pertanto, agli avvezzi a tali sonorità ed atmosfere.
Ma c'è qualcosa di più della pressoché tipica riproposizione di stili nobili e sempreverdi: il bravo ragazzo dei Semisonic, uno di quelli che depurò l'aggressività del grunge per porlo ad uso e consumo del pop radiofonico, s'addolora, s'intristisce, si strugge. Con la dovuta compostezza, s'intende. Assieme ai membri della sua band s'era profuso in diverse ballate, ma senza "sporgersi" più di tanto, riuscendo a farci intravvedere una profonda sensibilità limitata però da una certa "pavidità", e da qualcos'altro che somigliava al pudore. Qui invece il tutto di Dan viene allo scoperto, merito forse del concepimento home-made del disco, e chi ascolta non può non apprezzare ciò che Dan ha tenuto per anni celato di sé.
Di secondo in secondo, "Breathless" cresce in intensità ed in dolore, un brano bellissimo e da giro del mondo, largamente più suggestivo e stramaledettamente acchiappaorecchie del premiatissimo singolone delle Dixie Chicks. Su questa lunghezza d'onda scorrono "Baby Doll" e "Come Home, Angel", dalla melodia lenta ma tesa come poc'altro.
Il dolore ed i sentimenti complessi continuano, e solo in "Cry" il ritornello, sebbene non riconciliatore, perlomeno appare più luminoso, speranzoso. Stessa storia per "Golden Girl", nel bel rock acustico di "She Can't Help Me Now", mentre "Against History" è un rock acustico tutto arpeggi, quasi una versione unplugged di quello che senza dubbio sarebbe stato uno dei migliori pezzi rock del suo repertorio.
Scopriamo che questa sua vocalità acuta e flebile è molto incline a questo dolore maturo, disincantato, esistenzialista USA. Scopriamo che Wilson, fuori dai confini del pop rock da videoclip e dentro quelli cantautorali, riesce a far meglio su tutti i fronti, e persino su quello rock. Intuiamo perché molti artisti americani abbiano scelto ben volentieri di dare voce, corpo, sangue, muscoli e lacrime ai brani che ha composto. E comprendiamo perché il mangiafuoco Rick Rubin sia andato in bestia al saperlo fuori dal giro, con la crescita artistica che ha avuto.
A questo punto, direi, farebbe bene a non uscirne più, a rimanerci dentro, dischi d'oro o no, Grammy awards o no, se i suoi pezzi sono belli come questi. Altrimenti Rick se lo mangia vivo.

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