“Ma chi sarà mai questo Danny Ben Israel?” si staranno chiedendo molti dei pochi curiosi che hanno aperto questa pagina. A domanda rispondo.

Danny Ben Israel intanto è questo tizio qui. Poi è un cantante, si, insomma un autore di canzoni... Di lui si sa poco... Per esempio che è nato a Tel Aviv. La data precisa? Mah... La leggenda dice che da giovane Danny Ben sia stato nell'esercito e come James Blunt proprio lì abbia iniziato a scrivere canzoni. Oddio, a differenza di Mr Blunt, il nostro scriveva tutto meno che fiacche ballate romantiche... Appena congedato Danny ha messo su un gruppo col quale se n'è andato in Austria per fare da supporto a “Bill Haley and the comets”. E una volta tornato in patria ha inciso traduzioni in ebraico dei successi di Sanremo (Maddai?). Tra il 1968 e il 1970 Danny Boy si è chiuso in uno studio di registrazione con alcuni amici suoi: il funambolico chitarrista Schlomo Mizrahi, conosciuto anche come il Jimi Hendrix israeliano (!?!) e il gruppo “Ha'Bama Ha'Hashmalit” conosciuto anche come “Electric Stage”.

Ora, prendete alcuni dei più matti matti freaks della terra di Israele. Dotateli dei loro strumenti e di qualche sostanza per l'espansione sensoriale. Rinchiudeteli per un paio d'anni in uno studio di registrazione ed avrete un risultato sorprendente sia nel nome che nel fatto: “Bullshit 3, 1/4” . Autoprodotto, autodistribuito, autoscritto, autosuonato, autotutto, “Bullshit 3, 1/4” è un disco fantasma. Nel 1970 ne uscirono due o tre copie. Le TV lo snobbarono, le radio lo censurarono, i concerti li boicottarono. Manca solo che prendessero Danny a schiaffi... Comunque voi dovete sapere che il rock sguaiato di “Bullshit 3 1/4” è una psicadelia tra le più acide che mi sia mai capitato di sentire.

Danny Ben è un misto fra il primo Frank Zappa e Tim Buckley. Di Frank, Danny possiede l'umorismo, la predisposizione alla satira politica e sociale e il gusto scafato per il rock, il blues e le bizzarrie sonore più estreme. Di Tim Buckley, Danny ha la voce. E potrei aver detto tutto. Ma devo ancora fare un Track by Track veloce veloce o quasi: “Shir” o, per i madrelingua inglesi, “A different Song”, è un divertissment quasi senza parole; le poche presenti sono tutte in ebraico, esattamente come le altre parole delle altre canzoni. Fra sovraincisioni, strumenti strambi, e porcherie sonore di varia natura, svetta la voce cristallina di Danny Ben, unico elemento lucido in un contesto molto allucinato. “Michalto haschizophrenit Shel Utzic Pachnutzic Barodan Kis'on Rodanovsky” (Ohibò!) è una tenera ballata che racconta la lotta senza quartiere di uno schizofrenico consumatore di Hashish (Haschizophrenit). Il suo nome è Utzic Pachnutzic. La sua lotta senza quartiere è contro il dittatore Rodanovsky. A considerare dal tono del finale e dai colpi di pistola che si odono in sottofondo, il buon Utzic non fa una bella fine (Poteva essere altrimenti?) “Bimdon Kol Ham'esibot” è una variazione sul tema di “Shir”. Anch'esso all'inizio quasi senza parole, solo versacci e urletti, è un tipico rockettone molto sixties. Da metà fin verso la fine Danny Ben elabora una sorta di comizio che sarebbe bello capire...

Kapara” è il pezzo forte del disco. Reeffone distorto della chitarra, armonica subdola, cantato arrogante, assolo adeguato. Poi c'è un grido che sta a metà tra uno Yoddle e un invito alla sommossa; e invece, sorpresa: segue un intermezzo che andrebbe fortissimo in balera... “Vel'im” che la copertina bilingue del disco titola anche “And If” è un altra ballatona con testo che i soliti ben informati credono parli di fughe dalla realtà per mezzo di sostanze apposite. Non ho elementi per negare tale tesi per cui non mi ci metto... Una spernacchiata di armonica introduce poi “Danny Bottleneck” altro blues che lascia il posto al “trip” più “trip” dell'intera registrazione: “Israel 70”: un invettiva-satira che, al modo degli psicadelici di professione, unisce basi musicali con registrazioni e rumorismi. Le registrazioni riportano frasi e buoni propositi di politici isaraeliani del tempo. L'intento come ho detto è satirico. Buttando uno sguardo alla situazione attuale mi sa che Danny, a sbeffeggiare i suoi politici, non avesse tutti i torti. “Lama Lo”, è un vero gioiello a mio modesto parere. Un lento a metà tra blues e etnica, scandito dal trotto di non so che strumento a percussione e cavalcato dal vocione del Danny.

Così si chiude degnamente un disco che, pur scontando un deciso invecchiamento dei suoni, esercita sul sottoscritto un fascino strano.

P.S. Pare che dopo aver passato trent'anni spostandosi di continuo in ogni parte del mondo, continuamente impegnato in misteriose produzioni musicali, oggi Danny Ben sia tornato in Israele e conduca una vita florida. In fondo tutto è bene ciò che finisce bene...

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