E così un bel giorno Glenn Danzig, voce storica dei leggendari Misfits, dopo aver archiviato la trascurabile parentesi Samhain (oscura parodia degli stessi Misfits), decide di cambiar pelle e reinventarsi metallaro delle tenebre.
Una missione rischiosa, quella intrapresa da Danzig, una missione che intende fondere in uno stesso crogiuolo lo spleen maledetto di un Jim Morrison, il brivido elettrico delle vecchie glorie dell'hard-rock settantiano e l'amore sviscerato per il sempre idolatrato Elvis Presley, già nel cuore del nerboruto cantante fin dai tempi dei Misfits.
Una scelta che se da un lato va senz'altro a consolidare lo status di Danzig come personaggio cult della scena "alternativa" americana, dall'altro ha finito con lasciare perplessi sia i vecchi fan (che non gli perdoneranno il rinnegamento del verbo punk), sia potenziali nuovi adepti (evidentemente poco interessati ad una proposta anacronistica e stilisticamente reazionaria).
Le ridicole pose da macho, infine, andranno a minare inevitabilmente la credibilità dell'artista, smorzando l'entusiasmo anche a coloro che sarebbero stati disposti a fare un bel tuffo nel passato.
Eppure Danzig, personaggio eccessivo e al di fuori di ogni compromesso, ci consegna una musica genuina, autentica, spontanea, figlia della sua controversa personalità, a metà strada fra un santone, un palestrato ed uno stronzo!
Perché in realtà Danzig non ha mai rinnegato se stesso, Danzig è sempre stato Danzig.
Il Danzig punk, il Danzig dark, il Danzig rocker, il Danzig bluesman, il Danzig metallaro, il Danzig elettronico, il Danzig industriale, il Danzig nu-metal, il Danzig compositore classico sono manifestazioni sempre e solo ed unicamente del medesimo Danzig: un bellimbusto senza tempo e fuori dai generi, tracotante, grottesco, visionario cantore e prigioniero del suo piccolo-grande mondo poetico, delle sue piccole-grandi ossessioni, delle sue piccole-grandi perversioni.
Nell'88 esce così il primo capitolo della saga solista, un discreto album rock, forse un po' acerbo, ma rozzo ed efficace.
Dal passato dei Misfits vengono ereditate sostanzialmente le intemperanze vocali e le tematiche macabre. Tematiche che non vengono più attinte dall'immaginario della filmografia trash, dalla letteratura pulp o dal mondo dei fumetti, bensì rilette e rielaborate in un'ottica decisamente più spirituale ed esistenziale, sulla falsa riga degli sciamani del rock degli anni settanta.
E se non avete ancora chiaro di cosa si sta parlando, prendete per i capelli gli AC/DC, sbatacchiateli a ripetizione contro il muro finché tutte le ossa saranno frantumate, sfilate loro la spina dorsale ed inzuppateli infine in uno stagno maleodorante di sangue, merda e cadaveri in putrefazione.
Una spruzzatina d'incenso finale ed avrete ottenuto i Danzig.
John Christ (chitarra), Chuck Biscuits (batteria) ed il redivivo Eerie Von (basso - ereditato dall'era Samhain), lungi dall'essere musicisti eccezionali, compongono l'ensemble ideale per accompagnare il taurino singer nella sua discesa negli Inferi: non troppo virtuosi né troppo carismatici, i tre svolgono il loro compito con semplicità, senza andare a ledere l'ego straripante del capoccia, contribuendo così a confezionare brani avvincenti e a volte immortali. Come nel caso di "Mother" (classico per eccellenza del Danzig solista ed apice assoluto della sua carriera) e di "Am I Deamon", cavalcata sabbathiana che proietta il Nostro nei territori dell'heavy metal più roccioso e conturbante.
Ma anche gli altri brani non scherzano.
"Twist of Cain" apre le danze zoppicando, all'insegna di tempi fiacchi, chitarra asfittica e un Danzig (come sempre) invasato, fuori luogo, intento a spolmonarsi e ad investirci con il suo vocione baritonale.
Fin dalle prime note è chiaro che non ci si trova innanzi ad un John Bonham o un Jimmy Page (quanto lungi...), tuttavia il pezzo funziona ed è già in grado di incarnare il prototipo del brano heavy-rock tipico della prima fase artistica del Danzig solista.
Sarò un coglione visionario, ma io in "Twist of Cain" ci ritrovo perfino l'embrione abortito del riff portante che, tre anni più tardi, animerà la celebre "Enter Sandman" dei Metallica (da sempre appassionati estimatori del Nostro).
"Not of this World" è un rock arrugginito ed incrostato di dannazione eterna, in cui Danzig ha modo di tirare fuori la sua indole morrisoniana, mentre "She Rides" è una lenta incespicante che puzza non poco di anni cinquanta: un brano dove il cantante si fa possedere ancora una volta dallo spirito luciferino di Elvis. "Soul on Fire", dal canto suo, parte come un blues catacombale per poi rivelarsi uno dei brani più frizzanti dell'album.
Album che, nel complesso, ci mostra un motore poco oliato e ancora da rodare, ma che si fa apprezzare per le atmosfere lugubri e le suggestioni decadenti. Atmosfere che talvolta sfociano nel macabro (l'inquietante "Possession", episodio più vicino al repertorio horror-punk dei Misfits), talvolta in umori apocalittici ("End of Time": splendidi il bridge elettro-acustico e il canto paradossale).
Due fucilate a chiudere le danze.
"The Hunter" è un rock'n'roll azzoppato che sembra cantato da un Chuck Berry colto da paresi facciale, al quale evidentemente è stata sferrata una badilata in pieno volto: è il palese tributo alla più verace tradizione R'n'R americana, che da sempre occupa un posto d'onore nel cuore del Nostro. "Evil Thing", invece, si fa bella con il riff più scontato della storia dell'hard-rock (ma che, beninteso, fa sempre la sua porca figura!), e chiude con energia un album che nei suoi 40 minuti può vantare più di un punto messo a segno.
Acquisto consigliato... non consigliato... non so che dirvi, davvero.
A molti questo Danzig proprio non va giù, eppure il suo fascino ce l'ha, i suoi buoni pezzi l'ha scritti, i suoi brividi di tanto in tanto li ha regalati.
E se quattro stelle vi sembrano troppe, allora potete comodamente applicare la regola che vale per tutte le mie recensioni: togliere una stella per mutare il valore affettivo in quello effettivo dell'opera di volta in volta recensita, soprattutto quando parlo di cialtroni.
Oppure dare la colpa a Debaser che non mi permette di assegnare un giusto 3,5.
Ma se per caso foste tentati di entrare nel mondo perverso di Danzig, se per caso trovaste in voi il coraggio di dare una chance a questo oscuro carpentiere del rock, ricordatevi allora di lasciare i bambini a casa...
...Mother... tell your children not to walk my way... tell your children not to hear my words... what they mean... what they say... Mother...
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