Bisognerà fare i conti con la scena cosiddetta impropriamente "dark", una volta per tutte! Bisognerà farli anche prescindendo da artisti e gruppi ormai consolidati e abbondantemente rientrati nel canone (Bauhaus, Joy Division, ecc.). Qui si propone l'ascolto di un album ricchissimo di spunti, per alcuni versi perfino fondamentale per quella che sarebbe divenuta l'atmosfera musicale degli anni Novanta e i successivi; un'opera, questa, ancora una volta difficile da scovare sia nei negozi, sia perfino nel rutilante mondo del Web (qui si indice una gara gratuita ad improvvisarsi filologi digitali alla ricerca dei testi scritti dall'uomo responsabile del 'progetto' Dark Day: Robin Crutchfield).

L'inquieto signore di cui sopra, nato e cresciuta nella profonda, rurale, opaca, provincia statunitense (Pennsylvania), da quell'ometto sveglio qual egli è, comprende la necessità esistenziale e resistenziale di trasferirsi velocemente a New York; lì, non contento di un'atmosfera cosmopolita, si avvicina all'area più underground della Grande Mela, fondando insieme ad un geniaccio come Arto Lindsay, i DNA: erano i tempi della marea montante della No Wave. La personalità irrequieta, però, non si placa neppure al cospetto di tanta creatività; nerl 1979 il Nostro fugge dai DNA e fonda i Dark Day. L'anno dopo emergerà il frutto del suo pellegrinaggio spirituale ed artistico: "Exterminating Angel" (1980, Lust/Unlust). Il titolo già lascia trasparire i riferimenti e le icone su cui Crutchfield edifica la propria ricerca: "El ángel exterminador", enigmatico capolavoro di Luis Bunuel è del 1962; i tributi proseguono con una copertina decisamente orientata verso le "mirror series" di Man Ray; tra i musicisti convoca Phil Kline, Barry Friar ed il lunare Steven Brown chiesto in prestito ai Tuxedomoon.

Facciata A: Il disco si apre con "Raven’s wing", di meravigliosa, ipnotica essenzialità; al sintetizzatore si uniscono percussioni scure e circolari; il lavoro alla chitarra, con un tuffo al cuore, ci porta alla mente gli indimenticabili (e dimenticati) Sounds, attraverso intarsi che confluiscono in una marcetta surreale. In "Forced Landing", dalla struttura compositiva simile al brano precedente, le distorsioni elettroniche introducono alla voce recitante (si riprendano in mano i Current 93) di Robin Crutchfield; in fin dei conti si tratta di uno scheletrico ska suonato al rallentatore; il synth si mimetizza prendendo le fattezze di una fisarmonica artificiale, ma rimane sempre la chitarra a recitare la parte del Narratore; il testo, nerissimo, slitta sulle note, inciampa, singhiozza, sembra riprendersi, poi svanisce. Con "Arp’s Carpet" la logica non cambia; le armonie sono in apparenza semplici, fondate sul rispecchiamento tonale; la materia è sempre più plastica, la voce biascica forme testuali accartocciate, gotiche, chiaroscurali; non ci sono strade alternative. "Chameleon" enfatizza riverberi elettrici, echi e martelli replicanti, intanto una batteria di ghiaccio compiace la linea generale del tema; la voce sembra, per la prima volta, azzardare una cantilena, tuttavia le parole e la musica assicurano un assoluto dominio di un nichilismo astratto, essenziale, una sorta di segno grafico giapponese, costituito di gocce d'inchiostro che scivolano una sull’altra come dal vetro di una finestra. Al confronto i Joy Division, cui spesso i Dark Day vengono disinvoltamente paragonati, assomigliano a dei simpatici burloni. Dopo una non felicissima "Crown of Thorns", caratterizzata da una linea armonica-giocattolo, inquietante e incalzante nella sua ripetitività, giunge la secca "No, nothing, never": la coerenza artistica è assicurata! Qui il parlato è serrato e teatrale con inserti di una voce femminile; il testo gioca sulle varie forme di negazione presenti nella lingua inglese; il testo è antiretorico, quasi arido, ricattatorio nella sua glaciale, trattenuta emotività. Pausa. Fine del primo tempo.

La facciata B ci accoglie (si fa per dire) con "Laughing Up Your Sleeve", questa sì la cosa dell'intero album più vicina a 'Closer', soprattutto nella struttura percussiva; scie di sintetizzatori alternate a riverberi minimalisti ben supportano il canto-recitato che sceglie una quasi-sillabazione, contribuendo ad un'oscura solennità. Bellissimo. I 'volatili senza traiettoria' di "Flightless birds" sono sintesi della dinamica rovesciata e negativa di cui è impregnato l’intero album; sembrerebbe che le note siano un pre-testo, un corollario non tanto alle parole, bensì all’assenza di parole, all’impossibilità di aggiungere nient’altro se non deserto, desolazione, assenza (ascoltare lo sconcertante finale chitarristico, quanto di più alienato e autistico si possa trovare nella musica rock). Superando una non particolarmente ispirata "Crib Death" ci imbattiamo in "Diving Belle", dalla struttura circolare che crea nodi armonici fluttuanti, dove il piano elettrico, occupato a fermare le immagini, lascia sfuggire visioni e suggestioni che trascinano il brano in un balletto distorto e parossistico. "Me, myself and I" è uno dei pochi episodi che richiamano la forma-canzone, almeno nell’uso della voce, sempre molto rarefatta, sottrattiva, surreale; ossessione ritmica elettronica e schiocchi di lingua completare un pezzo molto riuscito ed efficace. "Uninvited Guests" ci parla della solitudine, resa palpabile anche dalle sonorità e per questo di impianto quasi impressionistico-descrittivo, nella sua membrana chiaroscurale ed implosa. Il gran finale si presenta con "Trapped" che altro non è se non una marcia lugubre e programmatica; il pianoforte e la chitarra sono accompagnati in contrappunto da campanellini e tintinnii che contribuiscono a sconsigliarne l’ascolto qualora ci si sentisse, per qualche ragione, inquieti e soli al mondo, magari nella notte buia. "Trapped" chiude in modo emblematico un album misterioso e cupo, il cui fascino costringe ad ascolti costanti, a ripescaggi, a ravvedimenti, a nuovi stupori.

"Exterminating Angel" è un disco importante, non perfetto, enigmatico, crudele, salvifico, contraddittorio, appunto: un po' come l'Angelo Sterminatore del film cui allude il titolo: nessuno vede, ma tutti sentono che lui c'è.







Carico i commenti... con calma