Alcune opere discografiche per farsi valere nel panorama del loro genere si avvalgono sopratutto della tecnica altre sopratutto dell'atmosfera e dell'emotività che trasmettono. Io ho sempre ritenuto quelle della seconda categoria decisamente superiori.
"The Diarist", terza opera dei Dark Lunacy, quartetto di Parma dedito ad un Death Metal molto melodico e come loro amano definirlo "drammatico", fa parte di questa seconda categoria. Per l'occasione i Dark Lunacy abbandonano in gran parte l'uso del violino e l'intricate partiture tecniche che avevano caratterizzato il precedente "Forget Me Not" per puntare molto di più sull'uso delle tastiere e sull'emotività dei brani.

Operazione riuscita. "The Diarist" è un concept che tratta l'assedio di 900 giorni avvenuto a Leningrado durante la Seconda Guerra Mondiale. Tema della guerra, quindi ma non trattato per glorificare battaglie bensì per mostrare il dolore infinito che essa porta nella vita della gente comune. Musicalmente dimenticatevi ogni tecnicismo, questo disco va ascoltato col cuore. La drammaticità che si respira in ognuno degli undici capolavori che lo compongono è agghiacciante. Non c'è un solo calo di tensione né un momento di cedimento. Le atmosfere dell'Est Europa sono state ricreate alla perfezione attraverso l'uso di cori molto suggestivi come mostra l'opener "Aurora", splendidamente maestosa nel suo incedere. La band non sbaglia nulla lungo questi undici brani, Mike Lunacy fornisce una prova eccellente dietro il microfono con il suo growl e i suoi testi che supportano perfettamente le composizioni geniali del chitarrista Enomys.
Composizioni che hanno il loro punto di forza nelle emozioni che suscitano e nelle atmosfere che ricreano. Ne sono l'esempio perfetto "Pulkovo Meridian", brano semplice, diretto e carico di rabbia sopratutto nel refrain (in grado di far saltare sulla sedia ogni amante del Death melodico) e "Heart Of Leningrad" che si innalza fino alla parte finale, assolutamente perfetta nel trasmettere il senso di angoscia portato da un assedio.
Da segnalare anche la tristissima "Snowdrifts" in cui i Dark Lunacy mostrano di nuovo la loro anima più orchestrale ed evocativa. Il disco prosegue brano a brano fino a toccare il suo apice con la terrificante "Motherland", canzone epica, potentissima, che parte veloce e prosegue trascinando l'ascoltatore lungo sei minuti di assoluta drammaticità fino alla conclusione dove cori, chitarre e il growl di Mike si intrecciano in una maestosa e
disperata preghiera alla terra madre, per troppo tempo sofferente.

Non ci sono parole per descrivere le emozioni provate a fine ascolto. L'unico consiglio che posso dare è di ascoltare questo disco (secondo me disco dell'anno da parte di una band Italiana ed apice del gruppo in questione), e di farlo col cuore, non ne rimarrete delusi. Questa è musica vera, scritta e suonata col cuore e davvero sentita. Prendetevi del tempo, dimenticatevi di tutto e provate a leggere in questo diario...

"Beat my heart, I know you are tired. Make me feel we're still alive"

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