Il titolo stupido e la relativa copertina cialtrona, l'aspetto e lo sguardo da cocainomani persi sia del frontman Justin Hawkins che soprattutto del bassista Frankie Poullain, l'intruglio a presa rapida di Queen+Ac/Dc+T.Rex sparato in faccia senza mezzi termini, le improbabili mise sfoggiate dal mefistofelico Justin che neanche Freddie Mercury, il suo saturante stile di canto farcito di estetizzanti svolazzi in falsetto... tutto congiurerebbe a ghettizzare i Darkness nel rock più vacuo e cazzone, buono per sedicenni brufolosi e arrapati in cerca di sballo.

Ma non è così: si dà il caso che i fratelli Hawkins (c'è anche Dan, alla chitarra essenzialmente ritmica) siano musicisti notevoli, che la facilità di fruizione della loro musica sia raggiunta attraverso un consapevole, intelligente lavoro su suoni e dinamiche, sulla creativa stratificazione di chitarre, su personalissime ed affatto banali intuizioni armoniche e ritmiche, su una professionale attenzione per i particolari.

Il fratello minore Dan Hawkins poi è un vero martello, l'indispensabile motore del gruppo. Picchia sodo sulle sue Gibson ed assicura alle canzoni tiro e solidità in ogni passaggio. Pare il cugino di Malcom Young (Ac/Dc) e il nipote di Pete Townshend (Who): l'amplificatore è regolato alla distorsione minima... tanto basta la violenza e la decisione (e precisione) della pennata a estrarne la massima aggressività. E' tale il volume di fuoco rock assicurato da questo musicista che nei concerti il fratello può limitarsi a metter mano al suo strumento solo sporadicamente, giusto per gli assoli oppure in quelle sezioni in cui l'esigenza di due chitarre ritmiche è ineludibile, potendo così maggiormente concentrarsi sul canto e su tutto il variegato armamentario d'intrattenimento: smorfie, salti, corse, cambi di costume di scena eccetera.

L'abilità compositiva dei Darkness viene fuori nelle canzoni meno commerciali, di riempitivo, al di fuori dei singoli più epidermici e facili. In questo lavoro dell'anno scorso, il terzo di carriera, vi è ad esempio la quarta traccia "Keep Me Hangin' On" che erompe con un martellamento di chitarra ritmica e poi quasi subito si carica di esotici rivolti di tante altre chitarre, si interrompe e riparte quando meno te lo aspetti, rivolta sottilmente gli accordi in maniera da dare diverso sfondo a strofe e ritornelli.

La successiva "Living Each Day Blind" è dinamicissima nei suoi chiaroscuri di arrangiamento. Parte stentorea con la chitarra solista e poi si scioglie nelle strofe semiacustiche, muta ancora pelle nel ritornelli in staccato e si riempie e svuota nei ponti strumentali. Cinque o sei diverse chitarre arrivano e vanno via disegnando un panorama ricco e compiuto... sarà pure glam ma prodotto molto bene.

Altro vertice del disco è l'ancor più dinamica "Forbidden Love" che, dopo un prologo acustico e una pausa, si incendia all'istante in un hard rock detonante, cambia virtuosamente qualche accordo ad ogni giro di strofa, picchia duro nel breve assolo e poi se ne va sbuffando come una locomotiva.

Sono questi gli episodi salienti che mi rendono gradevole l'ascolto dei Darkness e di questo loro terzo lavoro, ancor più del pregevole coro alla Queen di "Everybody Have A good Time" e assai più del party rock alla T.Rex di "Nothin's Gonna Stop Us", i due singoli estratti dall'album, per non parlare del (discreto) rifacimento della "Street Spirit" dei Radiohead, unica cover del lotto.

Una magnifica formazione hard rock con tendenze glam quella dei Darkness, paracula ed insieme brillante, epidermica ma mai banale in ciò che suona, molto interessante per chi si interessa di produzione, di suoni di chitarra, di arrangiamento. Hanno le loro idee e la loro peculiarità, io li seguo con interesse.
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