Abbiamo smesso di farci domande. Dopo tutto, farsi le giuste domande è ciò che fa la differenza tra affidarsi al destino e avere una destinazione. Tra la deriva e il viaggio.

Thomas, il protagonista di “I vostri padri, dove sono? E i profeti, vivono forse per sempre?” di Dave Eggers (uscito nel 2015), le domande se le pone, e sono quelle giuste, ma la sua –come la nostra- è diventata solo una forza esausta, irrazionale e incosciente. Nessuno riesce più ad affermare la propria differenza, la propria specificità. Forse è per questo che stiamo male. Siamo stati operai, poi eserciti. Adesso siamo diventati consumatori. “Che cosa vorresti costruire? Il mondo è già stato costruito”. Non c’è niente da costruire, niente da distruggere, sembra dire il deputato, una delle dieci persone rapite e incatenate a un palo da Thomas. “È lo scherzo in cui vivi”.

Tu non sai cosa vuol dire essere un uomo sopra i trent’anni a cui non è mai successo nulla. […] Non c’è un progetto per nulla” spiega Thomas a Sara, la ragazza rapita sulla spiaggia perché divenga il suo primo progetto di “qualcosa”.

Non abbiamo più memoria di una provenienza e di un’appartenenza. Un tempo, la precarietà era naturale. Si cresceva con la sensazione che il mondo esercitava una resistenza, non era lì disposizione, da prendere e basta. Niente era dovuto. Oggi invece viviamo il movimento contrario, appena arriva una piccola difficoltà non siamo capaci di affrontarla. Viviamo di un realismo che non ha niente a che fare con la realtà, come fosse una costruzione astratta. Un realismo magico in cui ogni mappa precede quello che descrive. Le persone un tempo sapevano benissimo cosa voleva dire rischiare, reagire, stare soli, così conoscevano la sofferenza e contemporaneamente si allenavano alla realtà, non la rinchiudevano in astratte possibilità. In fondo, il modo in cui lentamente portiamo avanti qualcosa crea il modo in cui pensiamo e di conseguenza il nostro linguaggio.

Negli sfoghi di Thomas, c’è la fragilità di un giovane essere umano postmoderno chiamato alla prova di un’esistenza sfocata, digitalizzata, emotivamente e sentimentalmente instabile. Ci sono i pericoli, i traumi che si vivono da piccoli in famiglia e a scuola, soprattutto in relazione agli adulti. Ci sono sogni e illusioni. Confusione e disorientamento. Ci dicono che il cibo che abbiamo sempre mangiato fa male. Si scopre che le guerre che avrebbero dovuto garantire la nostra pace, generano altri nemici. Che il sistema sanitario non solo non assiste, ma si fa complice. Sembra che tutti semplicemente obbediscano a nuove e distorte forme di ingegneria umana. Senza fare domande. Senza deviazioni. Senza fermarsi a riflettere sull’eternità, sulla bellezza, o sul dolore.

Ecco perché basta così poco per scoraggiarci. Siamo così fragili. Questo le nostre mamme non lo capiranno mai, Thomas. Siamo stati preparati per una vita che non esiste e non è mai esistita. Noi non esistiamo. Venti freddi a migliaia di metri d’altezza o a centinaia di metri in profondità ci ammalano. Non sentiamo nessun sospiro dentro alla nostra conchiglia. Nessun eco. Niente sopravvive a niente. Viviamo nel paradosso del maestro Juang: la notte sogniamo di essere farfalle, poi ci svegliamo e non sappiamo più se siamo uomini che hanno appena sognato di essere farfalle, o se siamo farfalle che stanno sognando di essere uomini. Tu che cosa sei? Uomo o farfalla?

Si creano davvero tradizioni, conoscenza, riconoscenza se i giovani si dimostrano pronti a capire, a digerire e assimilare. Bisogna che vengano fatte loro le giuste domande. Non cristallizzano più vere speranze, sogni intensi, intensamente vissuti, se non qua e là. Ma non siamo tabula rasa. Siamo tabula aliena, materia imprevedibile. Impasto di luce e di buio, di futuro e di nulla.

Il mondo esterno e la dimensione individuale di Thomas arrivano a toccarsi nella vicenda del suo amico Don Banh, un ragazzo vietnamita confuso e arrabbiato (niente di più) morto per mano di dieci uomini armati della polizia, nel giardino di casa sua, la cui morte verrà in seguito insabbiata con l’aiuto dei medici. È sempre il deputato a spiegare che “quello che è successo all’ospedale è una cosa diversa. Non è umano. Non è primordiale. Ecco perché non lo capiamo. È una mutazione più recente. Le cose che viviamo tutti, amore e odio e passione, il bisogno di nutrirci e gridare e fare l’amore, queste sono le cose che ogni essere umano ha in comune con gli altri. Ma c’è questa nuova mutazione, questa capacità di frapporsi tra un essere umano e una piccola questione di giustizia, per poi dare la colpa a qualche regola. Magari dire che il modulo è stato compilato in modo sbagliato”. I dubbi di Thomas, quindi, hanno pretese di universalità e sembrano in grado di abbattere certe barriere fra pubblico e privato. “Sono abbastanza sicuro che sarei venuto su meglio, e che tutti quelli che conosco sarebbero venuti su meglio, se solo fossimo stati parte di una qualche lotta universale, qualche causa più grande di noi”. Far parte di qualcosa di più grande. Forse l’obiettivo dei nostri tempi è proprio quello di tenerci lontani da certe pretese.

Personalmente stupisce la lucidità, l’ironia, l’apparente semplicità e la profondità di questo libro, in grado di cogliere quello che a tutti gli effetti è uno dei centri caldi e pulsanti di quella parte di umanità chiamata “millennial”, ragazzi alla ricerca di frammenti e particelle che ci spingano a posare lo sguardo verso porzioni di mondo ancora inedite.

Che s’ iniziano a intravedere in quest’epoca fluida, rapidissima, affamata e confusa, capace di veder crescere gente come Lionel Messi o gli Alt-J, ma anche di inghiottirsi il futuro e le prospettive di milioni e milioni di giovani in poche e semplici domande senza risposta. Chi sono? Che cos’è la mia vita? Cosa nascondete sotto ai miei occhi? Quando ho iniziato a dipendere dal dolore, a abitarlo? Non se ne andava, non se n’è mai andato. Cosa avrei dovuto fare, se non abitarlo? Avrei solo voluto essere trattato con tenerezza e ascoltato.

È un libro di soli dialoghi in cui Thomas esige risposte, magro non di una magrezza in crescita, forte ed elastica, ma della magrezza abulica a cui portano gli amori che finiscono, quella spigolosa degli amori traditi. Un notevole punto di arrivo nel percorso artistico di Dave Eggers, che dalle preoccupazioni individuali e autobiografiche del suo primo libro, (L’opera struggente di un formidabile genio, 2001) attraverso opere e messaggi a volte ingenui ma sempre limpidi, originali, puntuali e via via più universali (Erano solo ragazzi in cammino, 2007, Zeitoun, 2010) è approdato a temi di carattere geopolitico ed economico globali nel beckettiano Ologramma per il re, 2013, e ne Il cerchio, 2014.

Dove l’uomo sembra essere diventato elemento di disturbo all’interno della realtà, un puro e semplice fantasma costruito dall’uomo. Una specie di cultura batterica, un aggregato di geni che tende a riprodursi all’infinito. Ma lo diceva già Rilke, e l’ha ricordato Mario Rigoni Stern in una delle sue ultime interviste: un giorno andremo a cercare ai margini delle strade tutto quello che stiamo buttando via.

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