Signore e signori NON sarò breve, checché ne pensiate riguardo alla "giusta" lunghezza delle recensioni, quindi se non avete tempo di leggere passate pure oltre: l'evento in questione (unica data italiana del Reality Show) merita una accurata e dettagliata descrizione che tenterò di riportare in questo scritto.

E adesso: che la celebrazione della messa abbia inizio!
La breve introduzione dei Dandy Warhols, dei quali mi è piaciuto di più il nome della band che la musica da loro suonata, è stata utile per permettermi di ingurgitare una discreta ed appagante quantità di birra, tale da non trovarmi impreparato nel momento in cui si apriranno le danze. Purtroppo non ne ho bevuto una sufficiente quantità per arrivare a farmi piacere l'omaggio agli anni 60 di questi ragazzi.
Il loro impatto sul pubblico è stato piuttosto tiepido (per non dire nullo) e la loro gestione di un sottoinsieme di risorse audio-video predisposte per il PALCO DUCALE si è giustamente riflessa in un sottoinsieme di gradimento da parte del pubblico.

bowie livePoi, alle 21.40 circa, il Gran Sacerdote e Maestro di Cerimonie è sceso in mezzo a noi per la celebrazione dell'eudemonia. Ormai il palazzetto è colmo e i pochi buchi nelle tribune si sono formati a causa della migrazione di parte del pubblico nel parterre per poter stare più vicini all'aurea ducale.
Eravamo preparati a New Killer Star come pezzo d'inaugurazione, così come con lo stesso pezzo aveva gia inaugurato le altre date europee. Invece ecco la prima novità: le chitarre a guisa di reggae'n'roll ci scaraventano nella prima strofa della nuova versione di Rebel Rebel! E giù a saltare, ballare e gridare le parole del testo.
Il pubblico ci metterà poco a scaldarsi, nonostante l'acustica del filaforum (dove ero io si sentiva discretamente, ma dai commenti che ho sentito mentre tentavamo di uscire dal mega-ingorgo al parcheggio adiacente l'impianto... BRRRR!!!).

Poi ecco l'attesa New Killer Star (con testo sbagliato dal Duca - hemmm!) e il primo vero oldies, cioè Fame, sfavillante e convincente. La piega propriamente rock che sta prendendo il concerto si manifesta apertamente con Cactus, cover dei Pixies contenuta nel penultimo episodio della saga del duca, chiamatosi Heathen.
In questa canzone cominciamo ad apprezzare la padronanza della scena da parte del batterista Sterling Campbel, decisamente a suo agio fra stili differenti e loop registrati. Si permette di fare l'attore esagerando vistosamente i movimenti tipici del drummer per poi minimizzarli con pause e frammentazioni.
Ecco immediatamente China Girl e il popolo alza un boato d'approvazione mentre il tastierista Mike Garson (che in realtà nel proseguo verrà parzialmente offuscato dagli effetti e loop della chitarra di Jerry Leonard) si diverte ad intrecciare i suoni delle sue tastiere con il tocco secco e preciso del batterista.
Si balla nel parterre, si balla nella tribuna laterale, si balla in quella centrale mentre gli sguardi di tutti seguono le evoluzioni canore del Messia, prodigo pure di sorrisi e saluti.

La successiva tiepida reazione a Fall Dog Bombs the Moon conferma la mia impressione del fatto che Reality, l'ultima fatica del Bowie, non sia stato accettato molto bene dai fedelissimi, tesi che si consoliderà ulteriormente con la reazione a Never Get Old: non che non piacciano, semplicemente non eccitano come i pezzi storici e nemmeno come i pezzi del precedente Heathen. Basti considerare che da Heathen in tutto presenterà 4 pezzi mentre solo 3 saranno gli estratti da Reality.

Torniamo con l'attenzione al concerto, mentre il Gran Cerimoniere si nasconde nell'ombra per poi apparire, accompagnato dall'introduzione elettronica di Hello Spaceboy, sull'ala sinistra del soppalco che cinta tutto il palco principale. Arrivato all'angolo estremo si inginocchia in maniera mistica mentre intona il commiato al viaggio dello Spaceboy, divinamente sunatato nel suo tempo incessante in cui i picchi di volume generati da basso, batteria e chitarre rischiano di spaccarti il cuore. Il parterre è in un estasiato delirium tremens…
La tensione viene sospesa dall'esecuzione di Sunday, tappeto sonoro di loop da parte di Leonard e voce suadente del duca, chiusa da un assolo tuonante di Slick, fastidiosamente intenzionato a riprodurre un feeling in stile David Gilmour.

La decisione di presentare due chitarristi molto "presenti" (scusate la ripetizione) è una dei difetti che ho riscontrato. Sono entrambi molto bravi e molto diversi, con Lemmond vicino allo stile dei Frippertronics (ho sentito dire da un presente che Lemmond sarebbe la risposta alle preghiere di Tom Yorke!) e Slick ricorda il chitarrismo pentatonico anni settanta, solo che l'uno tende a prevalicare l'altro sia come volume che come fraseggio. Lemmond oscura persino la tastiera di Garson e Slick mi infastidice oltremodo per la sua camminata da divo, come se fossimo lí per lui e non per il Bowie!
Quanto sembrano lontani i tempi di Alomar, Fripp, Frampton o Gabriels! Ribadisco che secondo me Lemmond sarebbe stato più che sufficiente a svolgere il lavoro di entrambi.

bowie liveArriva Under Pressure (boato) nella quale risplende la grazia e la potenza della voce della bassista Gail Ann Dorsey, una statua d'ebano per nulla impaurita dal dover riproporre le melodie di Freddy Mercury: il duca con un vistoso inchino agevola la standig ovation per la facilità e precisione colla quale si cimenta nel "Dip-Do-Du" tipici delle strofe. Ed è anche una bassista coi contro-coglioni, surely! Il crescendo infernale di questa canzone rimarrà uno dei momenti più belli del concerto.

Una breve pausa nella quale il Bowie ci racconta che da Parigi il batterista e la sua fidanzata hanno fatto una capatina in Italia consolidando proprio durante la permanenza nello stivale la decisione di convolare a nozze (che bravi! Ma chissenefrega poi? Vabbè...), oltre alle solite prese in giro della nostra lingua ("Come state? Tutto bene? Solo questo so dire!" - ma perché poi gli artisti non si risparmiano queste cazzate? Non ne abbiamo bisogno) e ci tuffiamo nel tempo sincopato di Ashes to Ashes durante la quale (i miei accidenti avranno sortito un qualche effetto?) Slick rompe una corda e deve sostituire la guitar.
Si prosegue sulla falsariga con Fashion, Never Get Old e le atmosfere tese e cupe di The Motel. Poi scorre velocemente 5:15 (grande il batterista che istantaneamente passa da pseudo-assoli a pause imprevedibili) per arrivare alla difficilissima esecuzione in versione acustica di Loving the Alien, preceduta dalle scuse del Duca per dei piccoli problemi alla voce. Non vi so dire se si trattassero delle solite scuse di circostanza per "mettere le mani avanti" in caso di stecche, però vi posso assicurare che l'esecuzione in versione acustica è veramente difficile e che lui l'ha fatta alla grande! ALLA GRANDISSIMA! Un altro momento storico è avvenuto.

La stranissima interpretazione di I'm Afraid of Americans, nella quale la batteria aggressivamente sincopata e le chitarre con un sound prettamente core la trasformano, trasmutandone il carattere di canzone elettrica in canzone hard-rock (Bowie scimmiotta ulteriormente gli americani con atteggiamenti da gay - e sappiamo che gli riesce bene fare il gay!) precede l'ennesima differente versione di Heroes, ora divenuta un trascinante rock'n'roll scandito dal battimani del pubblico che a squarciagola ripete le strofe di una delle canzoni più amate del Bowie. Un banalissimo 4/4 che la storia ha cristallizzato e divinizzato come uno dei passaggi fondamentali del rock.
La faccia dei miei amici fedeli al Messia ora è VERAMENTE estasiata e la versione di Heroes non ha lasciato nessuno indifferente. We can be heroes, just for one day. E quel giorno è oggi, quel momento è stasera e noi siamo tutti eroi, lí con te sul palco.

bowie liveHeathen - the rays calma la folla prima della canonica pausa nella quale il nostro artista si cambia d'abito. Non è più dandy da tempo, ormai, ora si limita ad un look semplice, jeans e camicia sopra a una maglietta aderente che risalta il suo fisico integro ed asciutto.
Al rientro ci aspetta Slip Away, con la quale grazie al testo del refrain visualizzato sul grande schermo alle spalle del palco la band trasforma il palazzetto in un gigantesco karaoke. Senz'altro un poco kitsch come trovata, ma il divertimento è assicurato! Poi una discreta interpretazione di Change (il pubblico, me compreso, ormai canta tutto il cantabile) e la moderna versione con introduzione spagnoleggiante di Let's Dance, scatenante e trascinante nelle sue strofe.

Più di due ore di concerto e il Bowie non segnala cedimenti. Siamo alle battute finali: il ritmo infernale di Hang On To Yourself precede la degna conclusione di un avvenimento come questo, mentre ho ancora i brividi nel digitare il nome di questa canzone: ZIGGY STARDUST! Quindicenni, ventenni, trentenni, cinquantenni: tutti a cantare e saltare per la salita e discesa del "red skull", tutti a implorarne un prossimo ravvicinato ritorno.
Sono stanco io, figuriamoci il quasi sessantenne, ma pienamente in forma, Davide!

Un gran bel concerto, qualche fan deluso da una scaletta abbastanza prevedibile, moltissimi fan con i lucciconi. Non era la prima volta che vedevo il duca e, pregando iddio, non è stata nemmeno l'ultima. Le manie di protagonismo dei due chitarristi, l'unica nota stonata della serata, non hanno intaccato la purissima qualità della musica espressa dalla band.
Un ottimo concerto condito da qualche chicca imperdibile. Ancora una volta mi incammino sulla via del ritorno sommerso dal piacere di sapere che potrò rivivere altre mille volte nella mia testa ciò che stasera è avvenuto.
Non ho più voce, sono bagnato dall'umidità milanese, sono spossato, ma chi se ne importa? Ho vissuto l'estasi e la rivivrò nello stato mentale del duca altre mille volte.

 

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