Quando si parla di David Bowie con gli appassionati di musica si notano spesso due correnti di pensiero: c'è chi lo considera un genio della musica e chi lo considera un semplice "furbetto". Il signor David Robert Jones, classe 1947 è forse uno dei musicisti più ambigui e difficili da analizzare del XX secolo: 25 album in studio alle spalle, continui cambi di generi musicali e creazioni di vari alter-ego, che nel corso della sua carriera si è cucito addosso (i primi e più celebri furono Ziggy Stardust - Halloween Jack e il Duca Bianco ma anche negli anni '90 rispolverò la vecchia formula, col personaggio di Nathan Adler in "1.Outside") tour e concerti leggendari entrati subito nella storia della musica contemporanea, dalla celebre "morte di Ziggy Stardust" nel 1973 alla brusca interruzione del tour del 2004 a causa di un attacco cardiaco. Bowie è stato più di chiunque altro l'inventore della figura della rockstar sempre eccessiva e sempre al top, è stato per tutti gli anni '70 e per i primi '80, ciò che sono stati in seguito Madonna, Michael Jackson e ai giorni nostri Lady Gaga, per poi approdare al decennio dei '90 (dopo una serie di album a dir poco abominevoli quali "Never Let Me Down" e i due "Tin Machine") con una rinnovata voglia di sperimentare e di rinnovarsi. Insomma, forse musicalmente non ha inventato nulla, ma non si può negare che abbia lasciato un segno indelebile nella cultura pop e ancora oggi non è arrivato nessun'altro che come lui sia riuscito a conciliare così bene musica commerciale e musica d'autore.
Nel 2000, terminato il tour per l'album "Hours...", David Bowie ha rotto i rapporti col suo chitarrista Reeves Gabriels (co-autore dell'album e amico con il quale collaborava dall'88) e si è lanciato in un nuovo progetto: la registrazione di un album di auto-cover, vecchi brani scritti tra il '64 e il '68, prima di "Space Oddity", il suo primo, storico successo. La casa di produzione è spaventata all'idea di un album simile, i dirigenti temono un disastro commerciale e bocciano il progetto, Bowie infuriato lascia la casa di produzione per fondare una sua personale etichetta con la quale pubblicherà i sui ultimi due album "Heathen" (2002) e "Reality" (2003). Il progetto abortito doveva vedere la luce nel 2001, con il titolo "Toy". Molte canzoni tratte da quell'album circolano dal 2002, perchè furono inserite come B-Sides dei singoli di Heathen, mentre altre due ("Uncle Floyd", riregistrata e ribattezzata "Slip Away", e "Afraid" che erano le uniche due tracce di "Toy" ad essere state scritte apposta per l'album) vennero reinserite nella track listing di Heathen stesso.
Dell'esistenza di questo album fantasma ne erano a conoscenza solo i fans finchè, nel Marzo del 2011, con un ritardo di 10 anni rispetto ai piani originali, l'album finisce misteriosamente in rete, alla portata di tutti! Non resta che scaricarlo e farlo partire! Si parte con "Uncle Floyd" canzone che ormai i fan conoscono a memoria dato il suo ripescaggio su Heathen... eppure, questa take è infinitamente superiore rispetto quella presente nell'altro album, un sound più povero, la voce di Bowie così distante e così "calda" allo stesso tempo, il testo così coinvolgente... era dai tempi di "Word On A Wing" che non si sentiva una canzone così bella e questa è la sua nuova "Life On Mars", senza ombra di dubbio. "Afraid" chitarre, tastiere e batteria a mille, è la stessa versione apparsa su "Heathen", delusione per chi sperava di sentirne una versione alternativa come con la prima traccia ma resta sempre una buona canzone che "da la giusta carica". "Baby Loves That Way" prima auto-cover, remake di un vecchio singolo del 1965, tipico pop inglese anni 60 riarrangiata con tanto di chitarre elettriche taglienti, ottimo ritmo e grande simpatia, è la tipica canzone che mette di buon umore, sempre un piacere riascoltarla. "I Dig Everything" scritta e pubblicata nel 66 come singolo, il crescendo di batteria è delizioso ma nonostante gli arrangiamenti moderni si sente che è appartiene ad un'altra epoca, poco male comunque per un album (auto)celebrativo. "Conversation Piece": decisamente meglio delle due precedenti sia per testo che per musica, uno dei pezzi più maturi e più belli di tutto l'album, scritto tra il 68 e il 69 e scartato all'ultimo dal secondo album "Space Oddity", un piccolo gioiellino di 3 minuti e mezzo.
"Let Me Sleep Beside You" poteva funzionare benissimo nel 69 ma ora risulta purtroppo solo simpatica e nulla di più. "Toy (Your Turn To Drive)" questo brano dovrebbe essere stato scritto secondo le fonti ufficiali negli anni 60 e mai registrato fino alle session per "Toy", non sfigura affatto di fronte alle canzoni odierne di Bowie tanto che fu pubblicato su iTunes come bonus track per "Reality". "Hole In The Ground" altra perla del disco ed unica traccia di "Toy" veramente inedita fino alla pubblicazione dell'album, chi scrive la paragona per ritmo e musica a "Never Get Old", ultima hit di Bowie nel 2003 e la ritiene superiore. "Shadow Man" fu scartata all'ultimo da tre importantissimi album ("The Man Who Sold The World", "Hunky Dory" e "Ziggy Stardust") e se fosse stata pubblicata allora, oggi probabilmente sarebbe un classico del repertorio di Bowie, probabilmente la più intensa di tutto l'album. "In The Heat Of The Morning" scritta nel 68 è sicuramente una delle canzoni migliori di quegli anni e la versione moderna le rende pienamente giustizia, nella speranza che venga riscoperta dato che si tratta di un brano semi-sconosciuto della sua carriera. "You Have Got A Habit Of Leaving" il pezzo più semplice e commerciale di tutto l'album e il testo più banale, si fa ricordare ma non entrerà di certo in una futura compilation. "Silly Boy Blue" contende ad "Uncle Floyd" e a "Shadow Man" il premio per il miglior pezzo dell'album, già apparsa nell'album d'esordio del 1967 e sostanzialmente identica alla vecchia versione, rimane comunque intensa, coinvolgente e una straordinaria prova vocale per mr. Jones. "Liza Jane" fu il primo singolo di un diciasettenne Bowie (che ancora si chiamava David Jones) nel lontano 1964, il livello è lo stesso della traccia numero 11 ma resta il piacere di ascoltare Bowie che gioca e si diverte come un matto.
A chiudere l'album è "The London Boys", il più bel brano del Bowie anni 60, scritto nel 1965 e pubblicato come singolo insieme ai Lower 3rd che qui viene ripresentato in una versione molto fedele all'originale, è però cambiato il modo di interpretare i brani: negli anni 60 David Jones cantava, oggi David Bowie "Recita" i suoi brani. Rullo di tamburi, accordo finale, le ultime note si dissolvono e l'album si conclude. Il giudizio finale non è di certo facile: si sta ascoltando un'opera pubblicata con 10 anni di ritardo e che presentava brani già trentenni all'epoca della realizzazione. Che cos'è "Toy"? Ce lo dice il titolo stesso, è un giocattolo, Bowie sta giocando, sta rifacendo se stesso, forse per dimostrare che prima di "Space Oddity" non c'è il nulla o forse perchè è in crisi d'ispirazione, fatto sta che prese singolarmente le versioni dei brani di quest'album sono di ottima qualità ma nell'insieme si fa fatica a pensare ad un enorme successo commerciale (forse il motivo che spinse la Virgin a cancellare l'uscita del disco). I fan sicuramente avranno di che divertirsi, specialmente perchè questo album vede finalmente la luce ad 8 anni dall'ultima uscita discografica del Duca Bianco e la rottura del silenzio fa sempre piacere, specialmente per un artista come quello in questione.
Questo album può essere interpretato come meglio si crede, può essere considerato una marchetta come una trovata geniale, di certo 10 anni fa avrebbe scatenato grandissime discussioni molto interessanti. Non si sa se nel futuro ci sarà una pubblicazione ufficiale, l'unica cosa certa è che un'artista che tanto ha dato al mondo della musica e alla cultura contemporanea può permettersi ogni tanto un album di puro svago, che lascia forti sensazioni contrastanti una volta finito l'ascolto ma che riesce ad appagare molto di più di altri lavori sia precedenti che successivi (Reality in primis). Nel caso questo sia il suo ultimo album rimane l'amarezza perchè non è degno di alcuni vecchi capolavori, ma il fatto che siano state riutilizzate le prime canzoni scritte ci da una sensazione di "crechio che si chiude" che pochi artisti hanno saputo (e potranno) vantare a fine carriera.
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