Non saprei dire così su due piedi se sia da attribuire specificamente a qualcuno in particolare quella frase secondo la quale la lametta da barba definitiva sarebbe già stata inventata, ma mai messa in commercio per evitare il fallimento del mercato del settore. È una affermazione anche divertente che può nascondere delle verità, come rappresentare molto più spesso quelle che poi sono vere e proprie teorie del complotto. In ogni caso induce a riflessioni sul nostro sistema economico e in generale su quella che viene definita società consumistica. Quelle considerazioni del tipo che una volta le cose venivano fatte per durare, mentre oggi (anche causa vere e proprie rivoluzioni come la plastica) tutto viene fatto per essere cambiato e secondo molti anche se questo comporti prezzi più bassi e accessibili, si tratterebbe di un sistema comunque deleterio sul piano puramente psicologico e ideologico. Oltre i riflessi in termini di impatto ambientale. D’altro canto qualcuno, rifacendosi a un pensiero che credo si possa definire keynesiano, vi è chi sostiene che più si spende, più si produce: di conseguenza ci sarebbero così più persone che lavorano e che guadagnano ecc. ecc. Una considerazione ultima che contiene delle verità. Va detto che in ogni caso uno dei limiti del mondo occidentale e europeo in particolare, è avere rinunciato alla produzione. Dire che non ci sono investitori con i soldi è chiaramente una cazzata, ma altra tipologia di operazioni di carattere finanziario e quindi improduttive appaiono evidentemente più allettanti. Salvo poi esplodere in tutte le loro contraddizioni come nel caso della crisi del 2007.

Ho sicuramente divagato con questa lunga introduzione, ma l'aspetto più interessante di questo romanzo di David Brin del 1984 e intitolato "The Practice Effect" sta proprio in alcune considerazioni (che ne conseguono) sulla produzione e su come le cose siano destinate a durare nel tempo. Il protagonista della storia è un fisico di nome Dennis Nuel. A capo del dipartimento dell'Istituto Tecnologico del Sahara, questi viene scelto per una particolare operazione che attraverso una "porta" lo condurrà su di un pianeta sconosciuto e le cui caratteritiche sono apparentemente simili a quelle del pianeta Terra (le ambientazioni sono però molto simili a quelle di un mondo ancorato a una fase storica medioevale), se escludiano una alterazione nelle leggi della termodinamica e per la quale tutte le cose che vengano usate, o meglio "praticate", invece che deteriorare, si migliorano in maniera direttamente proporzionale e fino a evolversi anche in oggetti migliori e di tecnologia più avanzata.

I sistemi di produzione sono quindi completamente sconosciuti in questo mondo diviso in classi e dove i poveri sono costretti a "praticare" per i ricchi e in cui Dennis, causa le sue conoscenze e la comprensione del meccanismo, apparirà a tutti come una specie di mago. Giunto sul pianeta per compiere una missione scientifica (una semplice riparazione) alla fine egli rimarrà coinvolto nelle sue vicende, calandosi completamente nel contesto, finché lo stesso scrittore dimenticherà perché e come sia cominciata la storia. In bilico tra la fantascienza e l'immaginario fiabesco, pure basata su principi scientifici complessi, "The Practice Effect" è una storia semplice e scritta in una maniera scorrevole. In generale tuttavia non amo troppo le caratterizzazioni di natura fiabesca e ammetto questa volta di essermi persino annoiato nel portare a termine la lettura, pure apprezzando grandemente questo autore. Resta però la grande intuizione principale che costituisce il vero motivo del romanzo e che è sinceramente brillante e che per questa ragione rende l'opera come una specie di grande classico moderno del genere.

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