Soltanto due anni prima, "Seven" aveva sconvolto lo scenario cinematografico hollywoodiano, portando alla ribalta il nome di David Fincher, regista schivo, atipico e ancora poco conosciuto. Anche il suo esordio, "Alien 3" nell'ormai lontano 1992, aveva lanciato dei segnali positivi su uno dei cineasti più promettenti degli anni '90. Anche il suo terzo lungometraggio è un'opera dalle caratteristiche thrilling, ma con delle peculiarità originali: Nicholas Van Orton (Michael Douglas) è un ricco uomo di finanza a cui suo fratello Conrad (Sean Penn) decide di regalare una tessera per una fantomatica associazione chiamata CRS, che organizza dei "giochi", qualcosa in grado di cambiare la vita delle persone...

Nicholas accetta il regalo del fratello: la sua vita è fatta di uffici, segretarie, consulenze, cene in solitaria. Un'esistenza che si è intristita ulteriormente causa un divorzio difficile con l'ex moglie. Serve una scossa a tutto ciò: questa CRS sarà il cambiamento definitivo, un avvenimento in grado di cambiare la percezione della realtà. Iniziano a rincorrersi una serie di avvenimenti inspiegabili e terrificanti che gettano Nicholas nel panico, non più consapevole della sua sanità mentale.

Caratteristiche interessanti per il thriller di Fincher, uno di quelli che grazie alla storia e alle capacità narrative e registiche dell'autore riesce ad intrattenere lo spettatore fino all'ultimo secondo. E' un film psicologico, dal ritmo sostenuto: il classico film dal finale assolutamente imprevedibile, di quelli che alla prima visione lasciano spiazzati ma che con il passare del tempo si dimenticano. Si, perchè il più grande difetto di "The game" è il suo focalizzarsi eccessivamente su un finale che ha il compito di spiegare tutto ciò che accade prima, altrimenti difficilmente comprensibile. Nel creare lo stato di tensione che precede la sequenza finale, Fincher si dimostra ancora una volta un maestro, e le scene maggiormente thrilling sono quelle più riuscite. Da segnalare la sequenza in cui Nicholas si ritrova una casa piena di murales: un sottofondo di ansia che Fincher riesce a rendere alla perfezione, grazie anche alla colonna sonora di un colosso quale Howard Shore.

L'altro difetto del film è riconducibile ad una caratteristica tipica del cinema fincheriano, da cui si salva soltanto "Il curioso caso di Benjamin Button". Parlo della mancanza di emozionalità nelle vicende che racconta, di storie sempre perfettamente portate sul grande schermo, ma spesso prive di slanci "emozionali" in grado di renderle effettivamente memorabili. "The game" è un thriller che segue questa falsariga, tra l'altro sottolineata anche dagli ultimi lavori di Fincher, "The social network" e "The girl with the dragon tattoo".

"The Game" (uscito nel 1997) si segnala come l'ennessimo ottimo prodotto di David Fincher, anche se può essere considerato come un lavoro "minore" nella filmografia del regista del Colorado. Ben supportata da due attori di uno spessore indiscusso, la terza pellicola del buon David è un'opera interessante di un uomo in grado di interpretare molto bene il cinema "moderno". Di sicuro una buona visione per gli amanti del genere.

Tre pallini e mezzo.

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