Jef e i suoi fratelli: da Melville al Continental fino a Fincher, storia breve dei sicari al cinema
Al di là del fatto che The Killer sia tratto da una serie di fumetti, il filone cinematografico dedicato alla figura del sicario solitario, metodico e ovviamente sotto contratto, è tra i più battuti all'interno del neo-noir. A partire chiaramente dal nume tutelare di questa particolare tipologia di film, vale a dire il capostipite cinematografico del Polar (sottogenere francese che univa noir e poliziesco) Jean-Pierre Melville.
Jef (ribattezzato Frank in Italia, non è dato sapere bene il perché) Costello, protagonista dell'iconico e miliare Le Samourai, a cui diede volto l'ineffabile Alain Delon, è un'opera epocale e tra le più influenti, citate e omaggiate nel cinema di genere.
A partire dal capolavoro assoluto di John Woo, omonimo del nuovo film di Fincher e punto di riferimento del cinema d'azione hongkonghese e non solo. Altro esempio illustre è Ghost Dog di Jim Jarmusch, che diversificava a suo modo la figura portandola ad una riflessione crepuscolare sull'approssimarsi della fine del mondo, con l'avvento sempre più prepotente del progresso all'alba di un nuovo millennio.
Ovviamente non si può non citare Leon, giusto per non tralasciare il Professionista per eccellenza.
Per arrivare fino alla saga di John Wick, dove i sicari addirittura popolano le metropoli come se non ci fosse un domani e godono di un'organizzazione mai vista, quasi corporativista.
Molti altri sono i casi di assassini su commissione visti al cinema (o in tv, come nel caso della serie cult Killing Eve, declinata al femminile), perché questa figura è una sorta di archetipo e, pertanto, trascende le epoche, le mode. Spesso senza nome, come lo straniero di Sergio Leone o il Driver di Walter Hill (di cui è diretto discendente il Gosling al neon di Refn). Figure oscure e metafisiche, immuni alle leggi del tempo.
Ed è così che si spiega il lungo corso di questi film, e perché dopo così tanti anni ed infiniti esempi, la fascinazione non passi mai. Non ceda il passo. Non tramonti assieme all'arco narrativo dei personaggi, anzi risorga e riappaia sempre a nuova forma e sembianza.
Forme e sembianze che ora hanno il profilo di Michael Fassbender. Killer senza nome (appunto) ma con mille diverse identità.
Questa lunga introduzione serve quindi a spiegare il contesto di un genere battuto talmente tante volte, che pertanto trovare qualcosa di interessante in questo nuovo lavoro del regista di Seven e Zodiac è veramente un'impresa ardua. Se vuoi mettere nuovamente in scena questo archetipo devi avere qualcosa di davvero importante da dire, ma è evidente come non sia il caso di Fincher. Che mostra invece una certa mancanza di idee, lasciando quindi tutto alla forma e al mestiere, realizzando così un film di grande perfezione stilistica ma che pochissimo di sostanziale lascia al termine della visione.
La forma, d'altra parte, senz'altro delinea la psicologia del suo protagonista: freddo, cinico, totalmente e volutamente privo di empatia per portare a termine al meglio la sua missione. Avvicinandolo, in questo senso, più a un Anton Chigurh che non a un Geoffrey Chow, eroe romantico e tragico del sopracitato film di John Woo. Il cui titolo originale in cantonese faceva riferimento proprio all'eroismo.
Le riflessioni filosofiche - se così possono essere considerate - del personaggio, inoltre, sono invero piuttosto banali, mentre sono magari più interessanti quelle, che però restano solo accennate nel bellissimo primo capitolo del film, riguardo al contesto ambientale in cui esso muove le proprie azioni criminose: nel ventunesimo secolo, nell'epoca della sorveglianza e del massimo controllo sociale finora mai registrato, per un killer è più che mai complicato nascondersi tra la folla.
Ma comunque a Fincher non interessa la caccia all'uomo o l'introduzione di elementi polizieschi e delle relative, abusate dinamiche; nessuna rampante coppia di detective sarà posta tra l'uomo, il suo mimetismo e la sua vendetta.
The Killer è una cupa sinfonia in sei atti, di cui il primo resta il più riuscito e suggestivo: il mirino, il silenziatore, l'arma montata con cura e perizia, la ritualità ma anche l'umanità (strano, visto quanto avverrà in seguito, e forse in contraddizione) dell'assassino, che prova stanchezza, soffre la mancanza di sonno e, infine, per concentrarsi sul bersaglio ascolta gli Smiths.
Ma per quanto si possa essere perfezionisti e metodici, è sempre l'imponderabile a mettersi di traverso. Una donna che non doveva essere lì, una figura di troppo, uno spostamento d'aria. La famosa farfalla sul mirino, insomma. La razionalità e la tecnica hanno i loro limiti anche nel tempi moderni.
The Killer è fondamentalmente un film nichilista, consapevole che la morte è comunque la conclusione di qualunque storia umana, in attesa del buio e del vuoto o, per chi ci crede, di un'altra dimensione successiva a quella terrena. Fincher non manda messaggi né idealizza alcunché, ma non è nemmeno dotato della profondità autoriale necessaria in questi casi per parlare di certi argomenti. Così il film resta un buon intrattenimento ma non molto di più, girato su commissione da un professionista tecnicamente impeccabile tanto quanto il personaggio che rappresenta sullo schermo. Ma come dicevo, tecnica, mestiere e perizia non sempre sono tutto.
Fassbender è un attore di razza e di altissimo livello, ma qui, forse, almeno parzialmente resta sprecato.
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