Una band semisconosciuta. Dediti ad un doom metal classico (di quello in stile Candlemass e Solitude Aeturnus per intenderci), questi quattro tedeschi mi hanno piacevolmente colpito. Non solo, hanno colpito in larga scala, dati gli ottimi pareri anche della critica per quello che rappresenta il secondo disco della band. Il loro primo lavoro è datato 1998, dal titolo "In the valley of tears". A ben dieci anni di distanza è uscito questo The peaceful dead. Un lavoro che non possiede nulla di straordinario sotto la voce originalità, ma che riesce comunque a far intravedere l'ottima capacità musicale della band.
Per i Dawn of Winter il doom non è soltanto il genere musicale da suonare, ma anche e soprattutto uno stile di vita. Ciò ci viene esplicitato nell'iniziale "The music of despair" dove emerge la lentezza della chitarra di Jörg Michael Knittel e la calda voce di Gerrit Philipp Mutz: il testo della canzone sottolinea la loro attitudine doom. "Doom is the soul of metal" recita il ritornello, a cui seguono delle strofe che citano gruppi che hanno reso grande il genere: Black Sabbath, Candlemass, Pentagram, Saint Vitus, Pagan Altar.
L'asse portante del disco sono le sei corde di Knittel che traccia riff di rara potenza su cui la voce del singer si adagia a creare linee vocali che ricalcano le sofferenti clean vocal tipiche di Marcolin e Stainthorpe. Per tutti questi motivi The peaceful dead "suona" in maniera oscura, rallentata. E' un tunnel di nera cupezza. L'ascoltatore si immette in questo tunnel consapevole delle difficoltà, e il suo inferno privato viene acuito dall'arpeggio sofferto e sofferente di "Throne of isolation", vero e proprio must di classic doom anni ottanta. Note che rievocano nella memoria momenti di una musica passata ma ancora appartenente a questo mondo. Una song sublime, che entra di diritto tra le migliori composizioni doom degli ultimi anni.
Bastano le prime tre tracce a farci capire quale sia l'andamento del disco: a volte viene voglia di non proseguire e soffermarsi su quanto si è già sentito, ma andando avanti nell'ascolto di quest'album ci si imbatte comunque in creazioni drammatiche di tutto rispetto. "A lovelorn traveller" conferma quanto di buono fino ad ora sentito, e la titletrack spazza via ogni dubbio. E' proprio la sesta traccia che ribadisce con forza l'importanza di questo lavoro: quasi dieci minuti di primordiale doom. Minuti che rappresentano il tramite tra ciò che fu di questo genere e ciò che potrà essere in futuro: una musica di nicchia che può (e deve) allargare i propri orizzonti. "The peaceful dead" rappresenta in questo senso il climax ascendente del disco, riuscendo a generare un'aura di oscurità che perdura anche dopo la sua fine.
"All the gods you worship" e "Anthem of doom" sono altri esempi di grande musica, mentre la penultima "Burn another sinner" alza il tiro verso l'heavy metal, rappresentando l'episodio più diretto dell'intero full lenght.
Siamo si fronte ad un grande disco di doom metal. La critica che si può muovere alla band tedesca è quella di non aver portato nessun tipo di innovazione. Resta il fatto che The peaceful dead sorprende per freschezza e potenza. Una musica lenta, sofferente, esistenziale, estremamente sentita.
E' una musica che porta pace quella dei Dawn of winter. E' il richiamo lontano dell'uomo in procinto di morire. Sono i lamenti di una vita...
"Hell is my final sentence".
1. "The Music Of Despair" (7:09)
2. "Holy Blood" (5:19)
3. "Throne Of Isolation" (5:35)
4. "Mourner" (3:39)
5. "A Lovelorn Traveller" (5:52)
6. "The Peaceful Dead" (9:49)
7. "All The Gods You Worship" (6:38)
8. "Anthem Of Doom" (4:04)
9. "Burn Another Sinner" (3:03)
10. "The Oath Of The Witch" (4:51)
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