The Wall Of Sacrifice non è forse il miglior disco della Morte in Giugno ma di sicuro è il più sofferto in quanto, nelle intenzioni del suo autore, doveva essere l'ultimo e porre fine in questo modo alla carriera dei Death In June cosa, che per fortuna, non succederà. L-album nasce da un sogno-incubo fatto da Douglas P. in cui vedeva un muro di sangue ( appunto "Il Muro del Sacrificio" che dà il titolo all'album ) dove il destino di ogni uomo era legato allo scioglimento e allo scorrere di lacrime congelate sul muro. Ogni individuo aveva la possibilità di scegliere il "percorso" dello scorrimento dei liquidi entro un determinato periodo temporale e, quindi, di scegliere la propria sorte. Di sicuro un "concept" pregno di una simbologia decadente che conferma la statura di poeta e ultimo cantore delle rovine del nostro tempo di questo moderno "Chansonnier".

La copertina è una delle più efficaci, d'altronde Douglas P. ha sempre voluto curare in maniera maniacale la grafica dei suoi progetti: mimetizzato da una maschera e con in mano una lama e una rosa con un lugubre corvo nero sulla sua sinistra, l'impatto visivo è potente ed esemplifica tutta la poetica di questo artista, diviso fra bellezza e morte, fra dolcezza e violenza, ispirato in questa tematica dallo scrittore giapponense Yukio Mishima. Un' altra immagine lo ritrae mentre legge assorto il Brown Book -War and Nazi Criminals in, il libro pubblicato durante la guerrra fredda da parte della propaganda sovietica che faceva i nomi di tutti i criminali nazisti che si erano riciclati con successo nella nuova Germania dell'Ovest.

L'album è suddiviso idealmente in due parti. La title-track è un lungo e lugubre pezzo martial-ambient in cui si possono ascoltare svariati campionamenti fra cui gli inni delle SS e si pone sulla scia di "Death of a Man" influenzando artisti successivi della scena martial come Der Blutharsch: questo "collage" sonoro può ricordare alcune cose dei primi Current 93: d'altronde non va dimenticato che in questo periodo era molto stretto il legame con David Tibet che partecipa attivamente al disco come ospite assieme all'inquietante Boyd Rice, sorta di Angelo della Morte e della distruzione. La successiva "Giddy Giddy Carousel" è uno dei brani più efficaci dove, sui consueti accordi ci chitarra acustica, uno stile che alla lunga risulterà stucchevole ma che qui lascia ancora il segno, viene immortalata senza compromessi la tragica epopea dell'Europa, uno dei temi chiave dei Death In June. Gli altri pezzi forti del disco sono "Fall Apart" e "Hullo Angel" composti assieme a Tibet (che verrà riproposta anche su Swastikas for Noddy dei Current 93 ), che diventeranno due classici del gruppo e dell'apocalyptic-folk. Chiudono l'album la sperimentale e rumorista "Death is A Drummer", che riesce ad inquietare con i consueti campionamenti di fanfare militari e che si caratterizza per un'atmosfera putrescente e lugubre e la brevissima nenia "Heilige Tod" (Santa Morte) che già compariva in Brown Book

In conclusione non resta che sottolineare come ascoltare Death In June sia sempre un'esperienza estrema, il materiale trattato è scottante e senza compromessi e non piacerà certo a tutti, ma consiglio di avvicinarsi alla musica di questo poeta, molte volte a torto boicottato e frainteso.

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