"Questa musica può condizionare in maniera anche incisiva il subconscio" leggevo qualche tempo fa su una rivista (non musicale) che trattava di alcuni studi fatti in tale direzione. L'articolo accenava al nome di Deca, al Movimento Distonirista: e la cosa mi balzava all'occhio.

In effetti, è dai tempi dell'album di culto "Simbionte" che questo compositore nostrano dà l'impressione di aver trovato una via anomala o quantomeno trasversale per produrre musica. Sarà l'amalgama delle sonorità, la stratificazione degli ambienti, l'impossibilità di identificare certi timbri e il magma vocale che spesso si srotola in sottofondo... e poi quella profondità evocativa che incide - per l'appunto - sul subconscio. Spesso generando un feedback nei sogni o in certi ricordi atavici, dove frammenti dei suoi brani riecheggiano come se appartenessero al lato nascosto di chi ascolta. Sarà questo o anche altro, probabilmente. Qualcuno dice si tratti di certe frequenze combinate tra loro, che creano una sorta di campo molto potente. E' un passo più avanti degli assunti della musicoterapia... nulla di particolarmente fantascientifico, dunque.

Comunque, questo nuovo album "Automa Ashes", pubblicato a fine settembre 2010 e co-edito nientemeno che da RaiTrade, si pone sulla stessa linea creativa dell'illustre "Simbionte", introducendo nei panorami alieni di quest'ultimo strumenti e vibrazioni della (rassicurante) tradizione terrestre: corde di chitarra, vibrafoni, sezioni d'archi e soprattutto pianoforte, che è la radice artistica di Deca del resto. Un musicista con oltre un ventennio di illustre carriera alle spalle, una decina di dischi ufficiali, più una serie di produzioni varie e collaborazioni con il mondo del teatro e della televisione... un musicista che ammiro per la sua volontà di segnare un percorso sempre libero da facili compromessi, che ha cercato di non arenarsi nella maniera e di sperimentare costantemente, pur restando lontano dalle elite dei generi.

Di fatto è difficile dire se appartenga più all'area ambient o a quella elettronica, nonchè a quella industrial. Nella sua musica si trovano vari agganci che alla fine marchiano uno stile piuttosto personale. E anche questo nuovo album lo dimostra, mettendo in scena reminiscenze acustico-minimali miscelate a loop ritmici e a inquietanti orchestrazioni esoteriche; con suoni che spaziano ad ampio raggio non solo in quarant'anni di storia dell'elettronica, ma anche attingendo alla sua propria discografia con una formula di autocitazione filtrata. Il tutto per poter creare una grande allegoria dell'esistenza umana in tredici mini-capitoli, che vogliono raffigurare le percezioni dell'individuo nei suoi stati di coscienza più emotivi ed inconsci.

Esempio calzante e folgorante di questo concetto è il brano di chiusura "Ashesehsa" che rappresenta il trapasso: all'inizio sovrappone a velocità allucinante tutti i dodici pezzi precedenti (con un effetto mnemonico e subliminale simile al film che si dice passi davanti agli occhi un minuto prima di morire) e poi chiude con un rilassato e ancestrale gorgoglio di organo ovattato. Geniale. E capace di terminare l'ascolto dell'opera con un sentore che lascia ammutoliti.

Prima di questa tredicesima traccia, l'alternarsi di momenti rarefatti e metafisici (Arcanaut Paradox, Technetus Atomicon) a piccole sinfonie futuribili dai risvolti ora malinconici (Osmodes Enigma, Sehsashes) ora angoscianti (Taumash Estamau, Antichrome Reset). Certamente con qualcosa di più musicale rispetto a "Simbionte", ma comunque indicativo di una scelta precisa e culturalmente pesante e pensante, concretizzata con quella forza trasversale in più che va a toccare corde normalmente ferme.

Disco consigliatissimo a chi non conosce ancora Deca. Ovviamente consigliato anche a chi ha già apprezzato sue cose precedenti e non vuole perdere contatto con un universo sonoro realmente alternativo.

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