L'esplosione musicale che aveva provocato l'album "In Rock (1970)", aveva consacrato il talento dei Deep Purple, trasformandoli da gruppo pop-progressive ad un band hard rock (in realtà nemmeno lo stesso gruppo credeva di aver rivoluzionato così fortemente il mondo della musica). Il successo dei cinque musicisti britannici è dovuto sicuramente al cambio di stile, influenzato anche dal cambio di line-up. Il cantante Ian Gillan ed il bassista Roger Glover avevano sostuito i modesti Rod Evans e Nick Simper. Si apre, dunque, un nuovo scenario nel panorama della musica rock, destinato senza dubbio a fare scintille.

L'album d'esordio aveva dunque trascinato in vetta alle classifiche i Deep Purple, grazie al suo suono "duro" e grezzo, ma allo stesso tempo impreziosito dai ricami barocchi e neoclassicheggianti di Blackmore e Lord, che conferiscono al disco un sound unico.

E' tempo anche di portare in giro nel mondo questo LP. Inizia la tournee e in una fredda sera di novembre i Deep Purple si trovano a Stoccolma per eseguire uno show che verrà trasmesso in diretta dalla Radio Nazionale Svedese, in occasione del programma Tonkraft. La performance verrà anche registrata su un disco che verrà pubblicato solo nel 1988 in Europa e nel 1992 negli USA (sotto il nome di "Live & Rare"). Stiamo parlando di "Scandinavian Nights", il primo live ufficiale della Mk II.

L'album si divide in due dischi, contenente soltanto sette canzoni per quasi 2 ore di spettacolo. Ciò perché la band sfrutta in parte la scia intrapresa da gruppi come i Cream o la Jimi Hendrix Experience: l'improvvisazione. I brani vengono dilatati in modo impressionante dalla band, ma non è mai un'improvvisazione fine a se stessa. Prerogativa dei Deep Purple è sempre quella di seguire uno schema preciso, anche nelle improvvisazioni.

Si comincia con una canzone della Mk I, ovvero "Wring That Neck", aperta dalla sfuriata iniziale tra batteria e tastiera e prosegue su ritmo incalzante dove Blackmore e Lord si rincorrono, si sfidano e mostrano la loro maestria. C'è spazio anche per le perfomance soliste dei due, tra richiami alla musica classica (come Bach o Rossini), andamento blues o semplici motivetti.

Il risultato: ben 34 (trentaquattro) minuti di puro rock. "Speed King", invece, appartiene al repertorio classico della nuova line-up e rappresenta quella sterzata verso il sound duro voluto da Blackmore. Composta da Roger Glover e caratterizzata dal canto "urlato" di Gillan, anche questa canzone vede nuovamente Blackmore e Lord sfidarsi. Un riff macilento e sabbathiano introducono una nuova canzone di "In Rock": "Into The Fire", il cui ritornello è strillato da parte di un Gillan in gran forma. Il primo disco si chiude con una cover strumentale di "Paint In Black" dei Rolling Stones, nella quale Ian Paice si esibisce in un rabbioso assolo di batteria di oltre 6 minuti(!).

Ad aprire il secondo disco è un altro classico della Mk I, si tratta di "Mandrake Root", una sorta di embrione di quella che sarà la versione live di "Space Truckin'". La parte cantata dura appena due minuti, prima di lasciare spazio ad uno scatenato Jon Lord, supportato da una bellissima base ritmica creata da Paice, Glover, Blackmore e anche Gillan alle congas. Da Lord si passa a Blackmore con il suo solo arabeggiante, dopodiché si smorzano i toni e la velocità. Il "Man in black" disegna e mostra tutto il suo repertorio, giocando con Lord e Glover in un crescendo che terminerà con un'apoteosi rumoristica.

Il tempo di perder fiato che tocca ad un classico immortale dei DP: "Child in Time". Drammatica ballad che si evolve prima nelle urla straziate di Gillan e poi in una forsennata parte centrale strumentale. Gli acuti del cantante raggiungono una potenza difficilmente imitabile e l'assolo di Blackmore è fenomenale (ancora una volta si sfida con Lord).

A chiudere l'intero disco è "Black Night", il singolo che aveva preceduto l'uscita di "In Rock". Il brano è caratterizzato da un riff "a frusta" ed è uno shuffle rock dall'andamento sincopato e sostenuto, semplicemente Hard Rock e ancora una volta Blackmore e Lord creano l'inverosimile con la Fender e l'Organo Hammond.

Se questo disco fosse uscito all'epoca della registrazione, avrebbe fatto la fortuna della band, immortalata in uno dei migliori live di sempre e in un momento di forma strabiliante, dove erano ancora lontani gli screzi ed i litigi fra Blackmore e Gillan.

Per gli amanti delle improvvisazioni, questo disco non può mancare.

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