Un buon disco questo "Wild Orchids", nella media della produzione elettro-acustica di Hackett. Il difetto principale del disco infatti è che 17 tracce sono troppe e non tutte sono valide, e non aiuta l'estremo eclettismo stilistico delle varie canzoni, altra caratteristica che in Hackett mi piace e non mi piace, ad esempio qui sembra ci provi gusto a spiazzare l'ascoltatore con canzoni diversissime tra loro per generi, stili, atmosfere ecc. Alla fine la sua cifra stilistica è quella di non averne una, mi viene da pensare, e per quanto di solito mi piaccia la versatilità anche all'interno di uno stesso album, e apprezzi anche quella di Hackett, a volte con lui mi sembra sempre una cosa esageratamente forzata, di chi non ha mai capito (o se ne è sempre fregato, magari) di cosa mettere precisamente nei suoi dischi. Fortuna che la qualità media delle canzoni anche qui è più che soddisfacente. Qui ci sono pezzi acustici/classici/orchestrali (ancora la Underworld dello splendido "Metamorpheus") e pezzi elettrici, pezzi dolcissimi e quieti stupendamente bucolici ("To a Close") e pezzi nervosi e cupi, cover di Bob Dylan e brani che non penseresti mai "Minchia, questo è Hackett, si sente" (tipo "Down Street" che per inciso è una delle più belle o "Ego and Id" addirittura composta da John Hackett, flautista classico, ed è un pezzone elettrico incazzoso...), temi musicali che ricorrono, canzoni bellissime e altre decisamente meno ("Wolfwork"). Un po' incasinato, ma è un buon disco.
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