Lo scorso 19 luglio si festeggiavano i 68 anni dall'uscita di That's All Right/Blue Moon of Kentucky, il primissimo 45 giri di Elvis Presley. Per l'occasione mi era venuta voglia di vedere Elvis di Baz Luhrmann, ma nessuno dei cinema della zona lo dava a orari per me fattibili. Allora ho pensato di ripiegare su un film del cantante, uno di quei suoi musicarelli anni '60, ma nessun videonoleggio o biblioteca vicino casa, né nessun servizio streaming ne aveva uno (in realtà su Amazon Prime Video ce ne sono diversi, ma sono a pagamento e non ho intenzione di finanziare in alcun modo quell'azienda). Per fortuna c'era almeno un videonoleggio che aveva il DVD del documentario musicale Elvis: That's the Way It Is e così mi sono visto quello.

È stata un'esperienza sconvolgente.

Quando prima ancora della metà del concerto Elvis Presley attacca a cantare Love Me Tender, scende dal palco e, mentre la band continua a suonare in sottofondo, per lungo tempo lentamente cammina in processione fra il pubblico stringendo le mani agli uomini e baciando con passione in bocca decine e decine di donne giovani e vecchie, bianche e nere, belle e brutte che lo circondano, piangono, gli vengono addosso e svengono ai suoi piedi, e si rivolgono a lui come a un idolo pagano, come a un dio della fertilità dai grossi testicoli, come a un Priapo callipigio madido di sudore asciugato dai fazzoletti ricamati delle vergini, come a un nume tutelare dal quale ricevono per contatto mistico il suo seme e ne restano gravide, come a un Gesù del sesso, avevo già deciso di dare 5 stellette a questo film.

La scena dell'orgia di Love Me Tender, perché altro non è che un'orgia anche se sono tutti vestiti rispettabilmente, è la testimonianza più impressionante del potere messianico assoluto che Elvis Presley esercitava sui suoi discepoli, della sua capacità persino inquietante di indurre loro orgasmi a suo piacimento, del suo essere la reincarnazione di Antinoo (di cui ha lo stesso naso), o la versione glamour del personaggio di Terence Stamp in Teorema di Pasolini, o la versione non-NSFW di Frank-N-Furter: un fascio di muscoli e peli corvini avvolti negli iconici jumpsuit di Bill Belew, tutti aderenti, immacolati, scintillanti, con insegne dorate e colletti napoleonici a sottolineare la sua dignità imperiale.

Elvis: That's the Way It Is è un documentario che testimonia la residency tenuta all'International Hotel di Las Vegas da Elvis Presley nel gennaio e febbraio 1970. La prima parte mostra le prove, la seconda il concerto con un collage di canzoni tratte da varie performance. Al di là della splendida scaletta all-hits (in cui #ceancheunpodItalia con la versione inglese di Io che non vivo), quello che davvero colpisce del concerto è il totale possesso che il cantante ha del suo corpo e del suo palco, che diventano l'uno parte dell'altro. Elvis si flette, si torce, alza gli occhi al cielo come Santa Teresa d'Avila in estasi, scende a terra, risale, usa il suo corpo come un oggetto del desiderio, come un aspersorio di feromoni che colpiscono chiunque sia seduto in sala. Al contempo il suo corpo è anche un oggetto autonomo che produce musica: sembra che controlli telepaticamente l’impianto luci, il mixer, i musicisti della band, tutto reagisce come per magia al minimo movimento del suo corpo. Muove un dito e partono gli archi, dà un calcio in aria e suona la batteria, accenna un sorriso e le coriste intonano il controcanto: è perfetto, un direttore d'orchestra nato, la sorgente naturale della musica.

Naturalmente questo coordinamento viscerale fra il cantante e il palco è in realtà il frutto di innumerevoli ore di prove in studio e sul palco con un cast artistico e tecnico di primissimo livello (cito solo il batterista Ronnie Tutt perché è clamoroso, ma sono tutti validissimi), eppure questo non sminuisce per niente l'effetto straordinario delle esibizioni. Elvis è il palco e il palco è Elvis. Incredibile, se non lo vedi non ci credi.

E poi che capacità d'intrattenimento, che prontezza inimitabile nel passare all'istante dal registro drammatico a quello comico, come quando canta il capolavoro Suspicious Minds e durante il potentissimo, appasionato sing along si avvicina alle coriste e trova il tempo, nello spazio di due secondi fra due versi, di scherzare con loro, senza perdere nemmeno una parola del brano e al contempo facendo scoppiare a ridere le coriste (e il pubblico). Quale altro genio dell'entertainment è mai stato in grado di fare qualcosa di anche solo simile?

Mi spiace di non aver mai assistito a un concerto dal vivo di Elvis Presley, ma almeno sono contento di vivere nell'epoca della riproducibilità tecnica che consente di conservare la memoria di queste esibizioni. Veramente un pezzo di Storia.

Breve nota sulla parte squisitamente cinematografica del film: regia, fotografia e soprattutto montaggio sono ottimi e, considerato l'anno di realizzazione, più vicini a una produzione art house, quasi warholiana, che a un prodotto per il grande pubblico. Le inquadrature sono semplici, forse tecnicamente limitate, ma compensate dal ritmo serrato del montaggio, che in alcune occasioni unisce insieme varie performance della stessa canzone, come si nota dal fatto che Elvis indossa abiti diversi da un'inquadratura all'altra, ottenendo un risultato di natura quasi psichedelica, come se Elvis per magia cambiasse aspetto in un batter d'occhio. Per concentrare al massimo l'attenzione sul cantante, la messinscena è composta solo da uno sfondo bianco vuoto su cui si stagliano i musicisti in nero ed Elvis in bianco, consentendo al tecnico delle luci di colorare la scena semplicemente con le gelatine sui riflettori: terribilmente semplice, quasi astratto, davvero efficace.

Elvis: That's the Way It Is è un concerto splendido ripreso in maniera splendida. Sono sicuro che anche Cary Grant, seduto fra il pubblico e chiaramente attratto sessualmente da Presley, approverebbe.

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