Se una cosa va fatta, va fatta e la faccio.

Tipo, rimettere in piedi il Taun.

Che è un localetto in quel di Fidenza che gli indigeni dicono essere il CBGB’s di quei paraggi.

Magari non è proprio così, ché al Taun i Ramones, i Dead Boys e gli Heartbreakers non ci sono mai passati, però c’è passata tanta altra bella gente in vena di rock’n’roll, per cui quel posto un nome ed un perché se l’è fatti.

E così, quando nel 2013 perde i pezzi nel senso vero della parola, il Taun chiude i battenti, perché sarà pure romantico lasciarci le penne tra un headbanging, un pogo ed uno strage diving, ma se posso lo evito; e più di qualcuno sospira con rammarico che, sì, il Taun è proprio come il CBGB’s, per cui se il CBGB’s è sparito dalla circolazione e mai più ritornato, figurati se torna il Taun.

È proprio allora che a qualcun altro sovviene di questa cosa che, se va fatta, va fatta e la faccio, e così s’inventa “Tieni su il Taun”, che altro non è se non il tentativo di racimolare gli spiccioli indispensabili a riaprire i battenti del piccolo CBGB’s.

E la cosa bella, ma bella per davvero, che dice cosa sia il Taun senza che sto troppo a dirlo io, è che i contributi più sostanziosi, oltre a quelli di qualche migliaio di rocchettari sparsi, ce li mettono i concorrenti che stanno in quei paraggi; che è un po’ come la maratona, quando l’ultimo chilometro se lo disputano in due, testa a testa, uno cade e l’altro - invece di tirare dritto al traguardo, rivolgendo al tapino pure un insolente gesto dell’ombrello - si stoppa ed aiuta il malcapitato a rimettersi in piedi, e poi ricominciano a correre entrambi e vinca il migliore.

Ci vuole tempo a rimettere in sesto il Taun, per cui la riapertura è a marzo 2016, giusto per organizzare insieme agli amici di BAM!Magazine e BAM!Radio, la quinta edizione del BAM!Fest, punto d’incontro quasi imprescindibile per ogni amante del rock’n’roll sporco e greve e a larghissimo raggio, così da farci cascare dentro di tutto, dal garage al punk all’hardcore.

Si dice che in quei giorni di maggio al Taun c’è tanta gente come mai se n’è vista prima, e alla fine è quasi scontato annunciare che ci si vede nel 2017.

Perché il Taun è ripartito.

Perchè il Taun è pure meglio del CBGB’s.

Si fa per dire.

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Se una cosa va fatta, va fatta e la faccio.

Allora venerdì, cascasse il mondo, stacco da lavoro nel primo pomeriggio, e se il capo si azzarda a dirmi qualcosa, questa è la volta buona che lo mando affan###o; sarà che sono su di giri, lui avverte la mala parata per cui nemmeno ci prova a fiatare.

E io sono fuori; salto dentro la Cortina e sfreccio verso Foligno, ridente paesino nel cuore della verde campagna umbra, e chi più ne ha più ce ne metta, di luoghi comuni.

E siccome la tradizione vuole che Foligno è il centro del mondo, allora è conseguente che tutte le strade portano a Foligno; dove stasera suonano i Gentlemens, che nel 2016 sono usciti con un album che si chiama «Hobo Fi» ed è un gran bel sentire, ed ho mancato la calata romana, ma non manco quella folignata.

Poi magari, unendo l’utile al dilettevole, è avanzata da Pasqua qualche succulenta torta al formaggio e ne faccio incetta.

Oddio, tornando al punto, “sfrecciare” verso Foligno non è proprio adeguato alla bisogna ed in loco ci arrivo dopo tre ore; però quelle tre ore mi hanno dato modo e tempo di rimuginare la vetusta questione della cosa che, se va fatta, va fatta e la faccio.

È che tra poco al Taun parte la tre-giorni del BAM!Fest 2017 e domani ci suona Deniz Tek.

Esserci o non esserci? Questo è il dilemma.

Dilemma per modo di dire, lo so benissimo che l’imperativo è esserci, ed anche se non ho l’età per sorbirmi mille chilometri e due concerti in due giorni, magari al Taun ci arrivo a sbrindelli ma comunque ci arrivo.

Perchè Deniz è Deniz.

Cioè se trent’anni fa misi mano ad una chitarra è per Joe Strummer, Johnny Ramone, Dennis Danell e Deniz Tek; Deniz è l’unico rimasto vivo e se arriva a tiro, lo metto nel mirino e mi fiondo; due anni fa era coi Birdmen, questa volta no, ma solo chi non conosce Deniz può avere da ridire.

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Se una cosa va fatta, va fatta e la faccio.

Questa storia della cosa che, se va fatta, va fatta e la faccio, la deve conoscere pure Deniz Tek.

Mi consento una fugace e veloce divagazione solo per dire che anni fa lessi un bellissimo articolo sulla calata dei Birdmen al Festival Beat a Salsomaggiore e lo conservo ancora, perché ci sono quattro righe bellissime di Luca Frazzi su Pip Hoyle, che non mi risparmio «... per la cronaca, il tastierista dei Birdman oggi è il manager di uno dei più grandi ospedali australiani. E la domanda a questo punto sorge spontanea: chi glielo fa fare di bersi migliaia di chilometri in furgone, a 40 anni dagli esordi, per cifre ben lontane dai suoi compensi professionali, facendo orari impossibili sui palchi di mezzo mondo?».

E magari non è tanto una divagazione, per me questa è pari pari proprio la storia della cosa che, se va fatta, va fatta e la faccio; poi, chiamala rock’n’roll o attitudine o in qualsiasi altra maniera, ma è sempre quella storia lì.

Deniz questa storia la conosce fin troppo bene, in fondo i Birdmen sono cosa sua più di chiunque altro; pure più di Rob Younger, quel Rob che, ogni volta che gli chiedono quale esperienza può valere l’epopea dei Radio Birdman, non ci pensa nemmeno un secondo e spara fuori il nome dei Visitors di Deniz, tralasciando senza scrupoli i “suoi” New Christs.

Ora Deniz esce sul palco del Taun che sono quasi le undici; prima di lui, ci hanno pensato altri a surriscaldare l’ambiente, menzione particolarissima per i bolognesi Chow, colla speranza che di loro si senta parlar presto.

Al basso ed alla batteria lo accompagnano due figuri che si fanno chiamare Goody Twins, mai sentiti prima, ma dimostrano di saperci fare; fosse altrimenti, non sarebbero al fianco del fondatore, chitarrista ed autore di gran parte dei brani di quella macchina del rock’n’roll che è la Radio Birdman.

Non è che ce ne fosse bisogno, ma a fomentare ancora di più è la presenza di Keith Streng, chitarrista dei Fleshtones, voluto da Deniz al suo fianco per questo lungo giro di concerti; Keith arriva sul palco con una t-shirt nera, e quando ti da le spalle, sul retro di quella t-shirt è impresso il logo rosso-fiammante dei Birdmen e dal quel momento capisci che non hai più scampo.

Che poi Deniz potrebbe campare di rendita e darti solo e soltanto quello che ti aspetti, il repertorio dei Birdmen, ma non va mai così; dei Birdmen solo pochi pezzi, prima di ogni altro quella meraviglia di «Breaks My Heart» che mantiene intatta la sua devastante carica di inno power-pop-punk allo stesso modo che quarant’anni fossero passati come nulla fosse, senza colpo ferire; o «Love Kills», rimaneggiata come un blues che non la finisce più di sanguinare e nemmeno ti sfiora l’idea che, accidenti a lui, poteva suonarla più fedele all’originale.

Soprattutto, stasera ci sta tanta parte del repertorio extra-Birdmen di Deniz, con un occhio di riguardo al nuovo «Mean Old Twister», uscito solo da pochi mesi, ma con dentro alcuni pezzi che finiranno presto tra i classici del repertorio - almeno su «Prison Mouse» mi ci gioco qualsiasi cosa - e a rinforzare sempre di più il culto di uno dei massimi esponenti del suono di Detroit.

Fino a quando Deniz rispolvera «Hand of Law», e con un tiro spaventoso la dilata fino a dieci minuti, infarcendola di omaggi più di una torta di Pasqua al formaggio, dai Birdmen, ovvio, a Detroit-rock-city, altrettanto ovvio, al surf, manco fosse «Aloha Steve and Danno», dal garage al punk a tutta una filosofia di vita e di rock’n’roll che poi, penso, sia proprio quella storia per cui se una cosa va fatta, va fatta e la faccio.

E a quel punto, almeno per me, non cedere al groppone che azzanna la gola, è impresa ardua.

Straordinario Deniz Tek.

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