"Beh, che ne dite di dare un'occhiata a queste supermoto di cui abbiamo sentito parlare tanto?".
Non è il primo on the road della storia del cinema, ma certo è il più famoso.
"Easy Rider" è un pugno di speranza, libertà, paura e motociclette chopper. Un viaggio intorno all'America, una manciata di droga venduta per materializzare il Sogno, l'attrazione New Orleans e la morte, che bara al gioco e distrugge le speranze.
Un film simbolo, opus imprescindibile per tutti coloro che sognano la libertà ed amano l'America. Uno dei viaggi più allucinanti (ed allucinati) della storia del cinema, più drogato dell' LSD e più nauseabondo del vomito che getti sull'asfalto. C'è dentro tutto il concetto di cultura hippy tipico di fine anni '60, con Peter Fonda nei panni di Capitan America (che sarà, per le giovani menti sessantottine, quello che il Ringo Kid di John Wayne fu per i padri), ci sono dentro gli ideali liberisti e libertari di quegli anni, e c'è la musica, filo conduttore di un percorso lungo e tortuoso che sembra non dare mai punti di riferimento. Bob Dylan, i Byrds, Jimi Hendrix, gli Steppenwolf. Tutti qui.
E c'è Jack Nicholson, nel suo primo grande ruolo. E' George Hanson, avvocato ubriacone, che straparla e beve, che si lancia in un lungo discorso strampalato sui venusiani. "Easy Rider" è tutto questo, ma è anche un interessante rivisitazione del western americano (che già non esisteva quasi più). Non per niente, Peter Fonda, soprannominato Capitan America, interpreta il ruolo di Wyatt, rifacendosi al mito leggendario di Wyatt Earp (classica figura del West della Frontiera, omaggiato anche da John Ford), mentre Dennis Hopper, regista e prim'attore, è Billy, come Billy the Kid. Non ci sono più le mucche, gli sceriffi, i banditi ed i pellerossa, ma ci sono le moto, gli hippy, la polizia ed i giudici.
Un film drogato, ma non per finta, sul serio. La droga che si vede nel film venne veramente consumata dai protagonisti, e Jack Nicholson non beveva per finta. Insomma, tutto più vero del vero. Ma "Easy Rider" è un film del 1969, che riflette la società di quegli anni, è dentro alla sua epoca, e come tutti i film "girati per l'epoca e raccontati per l'epoca" è invecchiato malissimo. Se ad esempio, si raffronta questo film con "Tempi moderni" ci si accorge che il film chapliniano, nonostante sia più vecchio (è del 1936!), risulta oggi ancora attualissimo. Perché l'argomento trattato (la schiavitù sul lavoro) è universale, andrà sempre bene perché possiede un raggio di "azione" maggiore, mentre le tematiche di "Easy Rider", paiono oggi vecchie più di quello che realmente sono. Troppo pregno di quelle questioni morali e sociali, troppo politico per essere credibile. Tolto il valore della libertà (quello sì universale) del film rimane ben poco: la cultura hippy, fatta di droghe pesanti, sciatteria comportamentale e senso dell'avventura oggi appare ridicola, superata da decenni di lotte, emancipazioni e referendum. Il progressivo imborghesimento della società (discutibile, così come era discutibile la cultura hippy: dannosa, pericolosa o libertaria e rivoluzionaria?) ha demolito tutto il senso della pellicola, facendo apparire Capitan America e soci dei simpatici reperti da museo, magari affascinanti, ma pur sempre sorpassati.
Da un punto di vista prettamente cinematografico, il film ha i propri punti di forza nelle interpretazioni carismatiche e "storiche" dei protagonisti. Jack Nicholson e Peter Fonda sono da applausi. A deludere sono la sbilenca sceneggiatura (che veniva riscritta giorno per giorno, in base agli umori dei protagonisti) ed una regia inconcludente, poco rivoluzionaria, da imputare alla poca esperienza di Dennis Hopper.
Incazzati e strafatti, P.Fonda e D.Hopper attraversano con la moto (e con la pretesa di spaccare il mondo) l'America e la cultura borghese, con un occhio a James Dean ed un altro al free cinema britannico. Ma il loro occhio è nel presente. Ed oggi, siamo già nel futuro. Di conseguenza, datato.
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