Un ringraziamento particolare va a quel maledetto Josi_.

Anno: 1993

Mi sembra quasi impossibile ritrovarmi qui seduto a recensire, dietro la fredda e statica luce di un monitor e nel silenzio più gradevole e completo, un lavoro del quale fino a qualche giorno fa ignoravo persino l'esistenza.
Sono davvero infinite la casistiche che ci portano giorno per giorno a compiere una determinata azione piuttosto che un'altra ed in questo caso una serie di circostanze ed eventi concatenati mi ha portato a scrivere di "No More Soda For Clarence", prima demo "seria" dei dEUS, piuttosto che di "Wheels Of Fire" dei Cream o del "Live in Scandinavia" dei Doors.

Spero solo, vista la mia quasi completa ignoranza in merito all'attività della band e alla sua biografia, di farlo nel migliore dei modi, riversando sotto forma di caratteri tipografici e senza indugio alcuno quelle che sono state le sensazioni che il primo ascolto mi ha trasmesso e le poche informazioni di cui sono venuto in possesso.

Nel 1993, anno successivo a quello che ha visto i dEUS ottenere la prima posizione all'Humo Rock Rally Festival in Belgio, stampo natale della band, il chitarrista e cantante Tom Barman, il più che geniale e tecnico bassista Stef Kamil Carlens, il violinista Klaas Janzoons e il batterista Julle de Borgher incidono con mezzi di fortuna, con una qualità audio bassissima, questa demo che in breve tempo si rivela il trampolino di lancio nel mondo professionistico.

"Friday, Friday, Friday, Friday, Friday, Friday, Friday, Friday, Friday, Friday, Friday, Friday, Friday, Friday, Friday, Friday
Your head come on is dead and gone/it might as well be said so long/It's suds and soda, a brain decoder/and can I wait for my decoder"

L'incessante e disperato urlo iniziale di "Suds & Soda" si accompagna allo strazio di un violino scordato e graffiante, incespicando su quella che si trasforma in poche battute in una linea melodica fatta di basso tirato, batteria martellante e sincopi. Il ritmo incalza sempre di più trascinando l'ascoltatore in un vortice da vino mistico, inebriando l'occipitale.

A questo punto bastano pochi secondi per appurare, superato il forte impatto iniziale, di essere di fronte ad un lavoro davvero originale, privo di reali contaminazioni esterne seppur influenzato dalle già note sonorità dei Velvet Underground o dei Pixies.

"Violins and happy endings / Plastic tears in a cup / Aftershave after hours
But swallowing words you threw up / But I keep telling me / it's easy without. . . all of this"

Il salto a "Violins And Happy Endings", che avviene in un frastuono di rumori di sottofondo, non permette alla giugulare di tornare a riposare. Il violino continua a consumare, a prender dominio dei neuroni. È un felino in agguato pronto a scattare. Pronto ad impedire la fuga della sua preda. Il basso, indiscusso ed eccelso padrone dell'intero pezzo, scandisce ogni singolo passo che accompagna il terribile predatore all'assalto finale.

Poi…
…come livida ed abusata necessità…
"Zea"

"Shoulda known it from the start
It's just the way, the way things are
Makes you think, well doesn't it
How I talked to you in this shit

Now the consequences toll inside my head
Now the consequences toll inside my head"

"Zea" è sentire le dita che abili scorrono sulle corde di una chitarra, "Zea" è voce di sottofondo, "Zea" è la Shangri-La, "Zea" è l'inconscio nascosto fra i solchi di un disco. "Zea" è "Zea".
Il fermento della pelle è oramai incontrollabile.
Hai ora la certezza di non avere più scampo. Ne sei prigioniero.

Prigioniero dello Sturm und Drang più intenso.

"Tombstone and the damage done / How beautiful the naked skin, how beautiful it glows / This is where the bleeding stops and this is what it shows / It has turned into a scar, the same, just the same, the same / But anyway / This is where the sane will park his foot upon your toes"

Una silenziosa carezza ci viene donata da "Right As Rain", cupa, quanto dolce e profondamente triste.
Un pezzo acustico di improbabile ma sospettata bellezza e forte emotività. È davvero difficile non abbandonarsi al dondolio delle note scritte sul pentagramma consumato, non lasciarsi coinvolgere da quello che sembra un abbraccio tenero dal sapore troppo amaro.

"Great American Nude" e " Mute" infine rappresentano il perfetto capitolo conclusivo di un viaggio sperimentale che da tanto desideravi compiere. Viaggio fatto di voli pindarici a personali esperienze, acide situazioni e posti mai visti. È un viaggio fatto da fermo dietro la fredda luce di un monitor. Ma non in silenzio. Ti accorgi di aver premuto PLAY & SHUFFLE sul tuo vecchio amico senza essertene reso conto.

"richard there, richard here,
richard quoting shakespeare,
back and forth and back again,
to be or not to be the man.

lizzy's getting dizzy, she should've known it from the
start being rich is just a lifestyle being alive
is just a part

that's what makes a kilo heavier than a gram, ma'am"

Ma i minuti scorrono in fretta. Troppa fretta.
Hai bisogno di riascoltare. Hai bisogno di riflettere.
Resti inchiodato ancora li a consumare un disco che hai già deciso di amare.

"Your mind goes
This has nothing to do with you
It's just the way that I turn mute"

Tracklist:

  1. Zea
  2. Violins & Happy Endings
  3. Right As Rain
  4. Suds & Soda
  5. Great American Nude
  6. Mute
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