Era la fine dell'estate del 1999, io ero un minorenne sbarbato con ancora l'attaccatura dei capelli al posto giusto pronto per rientrare sui banchi del liceo. Un bel giorno mi capita fra le mani un cd di un gruppo di cui avevo sentito parlare ma non avevo mai ascoltato nulla. Era "Chamber Music" dei Coal Chamber. Fu amore immediato. Suonavano potenti, schizzati, la voce di Fafara, nel suo essere particolare, era perfetta nel contesto, tutto sembrava avere un senso lì dentro. Pochi anni dopo uscì "Dark Days", pochi mesi dopo quell'uscita i Coal Chamber si sciolsero. Immerso nella mia tristezza Internet mi diede speranza: Fafara ha fondato un nuovo gruppo, per di più con un nome figo: Devildriver.
E qui inizia la lenta discesa nell'amarezza.
Recensire il nuovo "Beast" è un viaggio nelle mie delusioni musicali. È un tornare con la mente dietro a quando misi per la prima volta il primo del nuovo progetto fafariano, esaltato anche da un singolo pazzesco come era "I Couldn't Care Less", e mi dissi "beh, tutto qui?". Poi però uno pensa al gruppo nuovo, primo album, amalgama da ricreare, una balla e l'altra, e allora ascoltiamo quello dopo. Che già era meglio, ma niente di miracoloso, perlomeno avevano trovato una formula che a loro sembrava andare benissimo, una sorta di Pantera leggermente velocizzati con la voce di Fafara a fare da punta di originalità del progetto. E poi passi a "The Last Kind Words", che non si schiodava dai livelli precedenti, e lì iniziavi a farti domande sul valore effettivo del gruppo. Poi ascolti il penultimo "Pray For Villains" e capisci che no, qui il valore è davvero pochino. Tutto questo per arrivare all'ennesima possibilità che dai a questi 5 brutti ceffi, il nuovo di pacca "Beast". E ti ascolti l'attacco di "Dead To Rights" e capisci che è sempre la solita solfa, che niente è cambiato, niente cambierà, ci sarà il solito pezzo più o meno attorno alla sufficienza che farà capolino di tanto in tanto sul tuo i-pod (nel caso "Bring The Fight (To The Floor)" e "Blur" salvata solo dal finale) immersi in una selva di sbadigli e in una formula che, a distanza di 4 album, ha su una spanna di polvere. C'è poco da recensire qui, non cambia la produzione, non cambia il genere, non cambia la doppia cassa (massimo rispetto per Boecklin, che dietro alle pelli è la solita macchina da guerra), non cambia il lavoro di chitarre, non cambia nulla, i Devildriver sono entrati a tutti gli effetti in modalità AC/DC.
In conclusione: se i precedenti dei Devildriver vi sono piaciuti, non avrete alcun problema ad amare anche questo nuovo lavoro. Io, nel dubbio, mi rimetto su "Chamber Music".
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