I Devo sono uno di quei gruppi sì storici, ma che per qualche motivo vengono spesso, se non dimenticati, rilegati in seconda fila tra gli appassionati di musica. Ma perlomeno il loro meraviglioso esordio, "Q:Are we not men?...“ è un album che per il sottoscritto non ha nulla da invidiare ai capolavori delle band piú blasonate del genere, come Joy Division o Talking Heads (band quest’ultima, con la quale i nostri presentavano parecchi punti di contatto).
Forse peró fin troppo fedeli al loro motto della de-evoluzione*, i nostri hanno pian piano cominciato a smussare, come ahimé spesso accade col placarsi del fervore giovanile, le loro sonoritá, alla ricerca di un maggiore responso di pubblico. Non che agli esordi fossimo ai livelli di osticitá del Pop Group o dei Pere Ubu, ma la loro new-wave era un bel frullato energetico, un rock nevrotico, scattante e per certi versi freddo e robotico (non mancano infatti nemmeno le ispirazioni krafwerkiane).
Il secondo album, pure abbandonando già in parte le nevrosi punk, per spostarsi maggiormente sui sintetizzatori, è un degno successore, seppure inferiore al primo. Ma è il terzo album, a marcare la svolta piú netta, viene ancora piú premuto l’accelleratore verso il pop e, per un’ultima volta ancora, melodia e ricercatezza riusciranno a convivere ancora in un precario equilibrio, ma dal successivo i Devo punteranno sempre piú a diventare una band di synth-pop demenziale, dove prima erano un gruppo d’avanguardia e ferocemente satirico.
Ora, nonostante queste forse eccessivamente aspre critiche possano fare dedurre il contrario, l’album in questione non è affatto brutto, rimanendo anzi piacevolissimo nel suo intelligente disimpegno; per molti è addirittura il miglior album della band (anche se si tratta probabilmente perlopiú di ascoltatori di musica occasionali, non di appassionati duri e puri come noi DeBaserioti), nonchè quella in grado di regalare al gruppo il loro primo e unico vero grande tormentone presso il grande pubblico, ovvero "Whip it“ (e che porterá appunto alla deriva nelle infide acque della musica commerciale, nel tentativo di replicarne il successo) e rimangono in fondo, per quanto un pelo diluiti, tutti gli elementi che resero grande "Are we not men?“. Peccato non sia durata; ma invece di perderci nel rimpianto di quel che sarebbe potuto essere, ma non fu, riscopriamo e godiamoci piuttosto il primo capolavoro, nonché i due ottimi dischi successivi di questa grande, seppur incostante, formazione.
*vabbuó, il termine si spiega abbastanza da solo, peró per chi non lo sapesse specifico: i Devo affermavano che il mondo contrariamente a quanto comunemente affermato, andava alla rovescia e si stava pian piano involvendo, da qui tutta la cosa coi costumi, i movimenti sincronizzati e robotici, la critica alla societá, l’alienazione, la reificazione, l’omologazione, etc. etc; sí piú o meno sempre la solita roba che affermano tutti quelli che criticano il sistema, ma con un concept di fondo piú faico e coreografico.
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