(Tic. Tac.) Provo a scrivere, ma non ci riesco. Faccio fatica. (Tic. Tac.) Il rumore delle lancette del mio orologio mi infastidisce. (Tic. Tac.) Un pensiero, dal nulla, mi sovviene: buffo come un congegno così piccolo, creato da una mano imperfetta come quella dell'uomo, sia destinato a segnare qualcosa di così preciso ed enorme come il passare del tempo. Già, il tempo. Capace di scorrere in maniera silenziosa, come un piccolo ruscello di montagna - ma con la potenza e l'impossibilità di arrestarlo degna di un fiume in piena. Così discreto che quasi ce ne dimentichiamo. Pensando sia infinito. In effetti il nostro pensiero è giusto: lui è infinito. Eterno. Noi no. E così, spesso, non viviamo intensamente. Non godiamo fino in fondo il giorno. Attendiamo. Tanto che i minuti diventano ore. Poi mesi. Poi anni. Spesso uguali l'uno con altro. E una mattina ci guardiamo allo specchio e scopriamo che il tempo è sì invisibile, astratto, ma sulla pelle ha lasciato qualcosa di maledettamente concreto: i solchi della vecchiaia. E che il nostro tempo è volato via, come un aquilone scappato dalle mani di un bambino maldestro.
"Il deserto dei Tartari" parla proprio di questo. In esso viene narrata la vita di Giovanni Drogo, giovane soldato appena diventato tenente che si appresta a partire per il suo primo incarico ufficiale: prestare servizio alla Fortezza Bastiani. La bicocca in questione è situata ai margini di una pianura dove non vi è la presenza di vita umana (il deserto dei Tartari), ed è isolata dal mondo civile.
Costruita come primo argine per fermare il sopraggiungere di guerrieri nemici dal deserto, nel corso del tempo ha perso la sua importanza: difatti, da anni nessun esercito ostile è apparso all'orizzonte, e la costruzione è stata piano piano dimenticata dalla gente del regno. Completamente dimenticata. Qui però, vivono ancora dei soldati che monitorano la pianura in attesa di eventuali attacchi. Aspettando. Drogo diventerà così uno di loro. Deciso a restare solamente per pochi mesi, la ripetitività dei giorni però si impadronirà di lui nello stesso modo in cui una goccia d'acqua scava un solco in una roccia: lentamente. Molto lentamente. Ma in maniera devastante. Il soldato consumerà così la propria vita in quelle mure abbandonate in attesa del nulla. Di guerrieri che non ci sono. Che mai ci saranno.
Gli anni inizieranno a passare più rapidi di un battito di ciglia e, ormai intrappolato in quella fortezza da troppi anni, si sentirà estraneo al mondo esterno, tanto da non fare più ritorno in città a trovare la madre e gli amici di un tempo, che ormai sono cresciuti e si sono dimenticati di lui. Il destino beffardo, però, ha in serbo uno strano scherzo per Drogo: nel momento stesso in cui sarà troppo vecchio per rimanere in servizio, andando così in pensione e dovendo lasciare la fortezza, dei nemici spunteranno all'orizzonte, e i soldati finalmente potranno dire di non aver atteso invano. Tranne lui.
Dino Buzzati (1906 - 1972), definito dalla critica "il Kafka dei Navigli", scrive nel 1945 "Il deserto dei Tartari" - romanzo in cui il tema di fondo è quello già citato in precedenza: il rimandare a un ipotetico domani quello che si può fare oggi, e in cui la routine della vita, uguale giorno dopo giorno, è capace di consumare inesorabilmente l'esistenza dell'uomo senza che esso nemmeno se ne accorga.
La vita è come un romanzo: ogni persona ne scrive uno, diverso per ogni individuo - dove però il finale è uguale per tutti. E allora fate in modo che le pagine che lo compongono non siano delle sbiadite fotocopie, una uguale all'altra, ma che possano raccontare una storia: la vostra.
Carico i commenti... con calma
Altre recensioni
Di ilfreddo
Il tempo, quel figlio di puttana che in maniera ridicola abbiamo cercato di intrappolare... non ha fretta ed ha la capacità innata di mimetizzarsi tra le grigie pieghe di giornate troppo simili tra di loro.
Quello di Buzzati è un grido contro la standardizzazione di pensiero, azione e di vivere.