Chi ascoltasse un qualsiasi concerto dei Dire Straits all'apice del loro successo, verso la metà degli anni 80, e subito dopo desse una rapida occhiata alla tracklist di questo primo lavoro omonimo subito penserebbe che "questo è il disco di Sultans Of Swing". E basta. I restanti pezzi infatti non godranno di lunga vita durante le esibizioni dal vivo, surclassati dai futuri colossi che richiederanno il loro spazio, così quella rapida occhiata suggerirebbe in effetti un pensiero giusto da un certo punto di vista: questo è l'album di "Sultans Of Swing", il disco che contiene il capolavoro e tutto il resto apparirà, ad un primo sguardo superficiale, come un puro riempimento.
I Dire Straits hanno avuto la fortuna di azzeccare subito in prima battuta quella che sarà la canzone più rappresentativa di tutto l'arco della carriera della band e della vita artistica di Mark Knopfler, unico e solo padrone del gruppo costituito inizialmente anche dal fratello David alla chitarra ritmica, John Illsey al basso e Pick Withers alla batteria. L'efficacia di "Sultans Of Swing" è oggettivamente geniale, nel bel mezzo dell'epoca punk un gruppo inglese che suona molto americano riesce a distogliere parte della curiosità popolare puntata verso Johnny Rotten e Sid Vicious giocando su un irresistibile botta e risposta fra chitarra e voce, su una pulizia dei suoni che li rende immediati, su riff ammalianti che si piantano nel cervello di chi li ascolta e, contemporaneamente, su una tecnica che suggerisce che quel tale che sta suonando sappia il fatto suo.
Un altro punto di vista è che questo sia "l'album in cui c'è Sultans Of Swing", il disco d'esordio trainato dal singolo vincente ma degno di essere ascoltato per intero; che la numero 6 sia un pezzo superiore agli altri infatti è innegabile, ma tutto l'album gode di una freschezza e di un'abilità esecutiva che lo rendono non un capolavoro, ma sicuramente un ottimo esordio. Il singolo trainante è supportato infatti da una compagnia ben assortita di canzoni solide ed immediate come l'iniziale "Down To The Waterline", che apre le danze chiarendo subito quale sarà lo stile dominante di tutto il disco e del futuro dei Dire Straits: Mark Knopfler al canto e (soprattutto) alla chitarra solista, e poi tutti gli altri. Indiscutibile genio della qualità, Knopfler ha l'innato dono di saper suonare esattamente quello che ci vuole al momento giusto, melodie non tecnicamente extraterresti ma capaci di toccare i sensi. Il suono della Fender Stratocaster rossa diventa squillante su "In The Gallery", piccola e sottomessa sorella minore della regina che avrebbe meritato ben più considerazione, diventa ruvido in "Southbound Again" ed acido in "Setting Me Up", accoppiata ritmata e frizzante, diventa accaldato e sonnolento in "Six Blade Knife" e rallenta in brani come "Wild West End" o "Lions", entrambe ad indicare come i luoghi siano significativi e di importanza centrale nei testi di Knopfler (i "lions" sono quelli di Trafalgar Square).
L'album che contiene "Sultans Of Swing" quindi si dimostra un inizio eccellente per una band che all'epoca fece impazzire chi già provava ad imitarne lo stile, incuriosì Bob Dylan, ed aprì loro le strade ad un futuro di luci e folle oceaniche.

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