Era da un bel po' che non mi facessi vivo sul Deb, ed oggi ritorno parlandovi di un grandissimo lavoro che da poco ho scoperto e che subito ha catalizzato la mia attenzione. 

Un sognante violino, una stridente chitarra, una batteria precisa come non mai: questi sono i Dirty Three, traghettatori sconosciuti, emblema di quel movimento così trascinante e sperimentale che noi chiamiamo post-rock. Sono tra i gruppi che definirei più geniali di quel decennio (quello dei 90') tanto criticato quanto bistrattato: in quegli anni non c'era solo il Grunge di Seattle, il Britpop inglese, il facile pop da classifica, ma c'erano anche band che più di tutte meritavano il successo, effimero e mai arrivato. Tra questi abbiamo proprio la band australiana, ma analizziamo per bene la loro storia e le loro origini: nacquero a Melbourne nei primi anni novanta, quando al chitarrista Mick Turner e al batterista Jim White, che suonavano insieme già da tempo, si unì il violinista di formazione classica Warren Ellis, che aveva l'abitudine di suonare un violino a cui aveva applicato un pick-up da chitarra, in modo da sfruttarne i feedback e di giocare sul timbro dello strumento. Ma, in molti casi, il passato poco conta. Concentriamoci più sul tipo di musica a cui si dedicarono: una sorta di musica da camera influenzata dal noise rock, dal jazz e dal rock psichedelico. In breve, un genere di musica che ti entra dentro e ti porta a volare verso luoghi inesplorati a bordo di un grande veliero. Con queste "storie di cavalli", pubblicate nel 1996, cominciano ad affermarsi ed a farsi conoscere. Basta solo analizzare la copertina per far parte di questo nuovo mondo, magico ed, a tratti, divertente: Un fantasmagorico acquerello si staglia ai nostri piedi. L'album può definirsi come una lunga cavalcata verso la fine, fatta di improvvisazioni di stampo molto sperimentale e suite memorabili, tra forti assoli chitarristici e calde note di violino. Non mi fermo però ad uno squallido track by track, non c'è niente di meglio di una singola e personale interpretazione dei brani. Se mi fermassi qui a descriverle, il disco perderebbe tutta la sua magia. Syd è cresciuto. 

Vi consiglio tutta la loro discografia, a partire dal leggendario Ocean Songs del 1998. Dopo averli ascoltati, non tornerete mai più indietro. 

Altro che Nevermind o Californication...     

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