Chi conosce e ama i Dirty Three può immaginarsi quanto sia improbabile scoprire, di punto in bianco, che suoneranno tra qualche giorno non lontano da dove abiti. Io non ci potevo credere alle prime. A Faenza, a meno di un’ora di treno. Un biglietto dal prezzo irrisorio di 10 euro, considerando che non vengono da dietro l’angolo, ma dall’Australia. Il teatro era pieno, il caldo di questo fine maggio si faceva sentire. Hanno tardato di un quarto d’ora forse, una cosa da nulla. E poi, eccoli sul palco, dopo una breve presentazione: Warren col suo magico violino, Jim alla batteria e Mick con la chitarra. Tutti e tre portavano i blue jeans con camicie sul chiaro che lasciavano libero ogni loro movimento. Warren aveva le scarpe, o forse stivaletti con la punta lunga, Mick aveva degli scarponi normali da contadino australiano e Jim era scalzo. Ellis era bellissimo, sembrava Jesù: capelli lunghi neri, disordinati e una barba simile. White era venuto con la bottiglia di vino rosso, l’etichetta non si vedeva, o era un vino dei colli faentini o era un Cabernet Sauvignon dei vitigni australiani.
Hanno attaccato con una serie di pezzi da Ocean Songs: “Sirena”, “The Restless Waves”, “Sea Above, Sky Below”. Avevo per tutto il tempo il fiato mozzato, gli occhi incollati al palco, il cuore rapito da un’emozione fortissima, generata da quel violino diabolico di Warren Ellis. Egli suonava sdraiato, seduto, scalciava dove c’erano forti accenti, in aria, a gamba tesa, ma prevalentemente era rivolto con la schiena al pubblico, affiatato alla batteria di White. Insieme, i tre artisti, formavano un triangolo acustico di perfezione inaudita.
Durante l’esecuzione dei loro pezzi erano distanti da ogni cosa terrena, da ciò che li circondava, rapiti dalla loro musica. Invece nelle pause tra una canzone e l’altra Warren si avvicinava moltissimo al pubblico, parlava molto, descriveva i pezzi che stava per suonare, scherzava. Alcune cose me le ricordo, ovviamente, il senso è quello, ma le parole esatte mi sono uscite dalla testa. Era molto contento del posto in cui suonava, il Teatro Comunale Masini, costruito alla fine del Settecento è proprio bello. Poi cercò di trovarsi un traduttore tra il pubblico offrendogli come salario tre euro che aveva in tasca. Se n’è trovato uno, che forse stava nei palchi di II o III ordine, che ha accettato la proposta senza prendere i soldi. Non ha tradotto male. Ha fatto un commento sul ’96: gli facevano schifo sia la musica che i vestiti di quel tempo. Prima di attaccare con “Sea Above, Sky Below” ha detto che ora come ora il mondo è sottosopra e la cosa lo affascina alquanto. Ha detto altre cose, ma non vorrei annoiarvi. Insomma, non è mica un profeta Warren, lo è quando suona il suo violino, questo sì.
Hanno fatto, dei pezzi che conoscevo, “Hope”, “Deep Waters” e “Authentic Celestial Music”. Gli ultimi due sono stati quelli di maggior successo. Il pubblico non la finiva più di ululare ed applaudire. E’ stata una serata dedicata ad Ocean Songs.
Purtroppo mi sono perso gli ultimi 20 minuti perché dovevo prendere l’ultimo treno, non so poi com’è finito. Mentre mi precipitavo fuori dal teatro mi accorsi che tutta l’area circostante era invasa dagli echi della musica dei Dirty Three, e la gente se ne stava tranquillamente a guardare le vetrine e a bere nei bar, cazzo, come si fa?
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