In questo mirabile disco, a mio avviso il migliore dei tre australiani, sono presenti innumerevoli luoghi oscuri e lagune di sentimento da attraversare con coraggio: il violino di Warren Ellis è lamentoso e stridente, non accomoda mai l'ascoltatore. Riesce ad incantare ma mai a pacificare l'anima di chi si addentra nelle melliflue correnti del fiume Dirty Three.

Il primo brano "Some Summers They Drop Like Flies" è un tenero valzer dolente, ricamato su una pista dismessa da una coppia stanca: la celebrazione dell'amore che rincorre il fitto sovrapporsi dei violini, un incantamento sinuoso e solenne. Splendida.
"I Really Should've Gone Out Last Night" è semplice e narrativa: qualche colpo deciso alle pelli e il violino che sembra raccontarci, diventa la lingua del narratore... forse ci spiega che cosa è successo in una sera solitaria, forse è un lamento continuo davanti a un bicchiere secco e abbandonato.
"I Offered Up To The Sky The Night Stars" è cacofonia gentile: il violino campionato sovrasta se stesso e si tuffa in una cascata di parole. Parole: anche qui il senso affabulatorio è fortissimo... tutto si sospende un poco, le note si stiracchiano dopo la corsa e si rigettano a capofitto nel vento furioso. Ellis dona qui una prova immensa di versatilità emotiva: poche note per illustrare uno stato d'animo, un sentimento universale e condivisibile, mutando con il suo soffio lo spirito del pezzo, che diventa ora fumoso e intrigante e poi di nuovo rapido e fluente.
La forza del combo australiano sta nell'essenzialità del suono, tre strumenti adatti a condire con tanta ricchezza una melodia semplice come "Some Things I Just Don't Want to Know" levigata sopra un campionamento che sembra chiamare da un'altra stanza mentre, ancora una volta, il violino canta sommessamente una ninna nanna zoppicante.

Ellis è il diavolo che suona il violino, chi lo ha visto in azione con Nick Cave sa di cosa parlo: una furia di bravura tecnica e di pathos, gestualità teatrale e folle quasi si trattasse del Jimi Hendrix di questo antico strumento. Chiude la collezione di splendidi brani "Lullabye For Christie" che è così trascendentalmente bella da lasciare a bocca aperta e con gli occhi annebbiati: il violino appena sfiorato fischia da lontano una nenia, attraverso la bruma la batteria scandisce una marcia lenta, quasi di resa, e la forza dell'interpretazione sale con il tempo; come si trattasse di un rientro nei ranghi delle emozioni dopo tanto battersi.

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