Adoro scrivere, e quando dico scrivere non intendo il ritmico e anonimo ticchittio sulla tastiera di un pc. No, nel ripetere con fermezza la parola scrivere, chiudo gli occhi e mi ritrovo davanti al muso, nitida e imponente, l'immagine di una matita impegnata a creare un solco su di un enorme foglio bianco. È un'impresa ardua ed infatti, se ci pensate bene, non è un caso che la grafite si debba infine spezzare in minuscole scaglie; per indolenzire un polso sono sufficienti una manciata di pagine ed è giusto che sia così perché, cazzo, scrivere comporta impegno e sacrificio.

Credo sia questo il motivo principale per il quale provo un'attrazione particolare per libri come "Martin Eden" e "Chiedi alla polvere" che hanno come protagonisti scrittori in erba che cercano disperatamente di emergere. Entro in una libreria, la "mia" libreria: quella in cui ho acquistato negli anni, anche grazie ai vostri consigli, oltre duecentocinquanta titoli e mi scontro con una copertina che mi ricorda Carver, Kerouac, Ellroy, Chandler e chissà quanti altri con una macchina da scrivere in primo piano con accanto un posacenere ricolmo ed un bicchiere di whiskey. La bottiglia non c'è ma io la vedo sotto al tavolo, vicino a tante altre. Lei, invece, giovane, innamorata e calda, è nel letto sotto le coperte. Dorme serena mentre lui, invece di fare quello che dovrebbe fare, sbatte la testa contro una frase sbilenca che non si vuole proprio raddrizzare. Fosse un cd sarebbe Lanegan o Tom Waits con quella voce aspra, ruvida e penetrante. L'autore non lo conosco, ma questo non è mai stato un problema. Nella mia libreria ci sono i divanetti apposta e così dopo una quindicina di pagine ho capito che è una prosa magistrale, fluente ed accattivante e che si confà perfettamente ai miei gusti.

È proprio in questo modo che ho conosciuto Don Carpenter e "I venerdì da Enrico's". Si tratta di un autore statunitense, suicidatosi nel '95 poco prima di finire l'opera in oggetto. Se credete che, data la prossimità con la sua morte, sia un mattone terrificante con proprietà depressive; se questa è la vostra prima impressione, beh vi devo scandire a lettere maiuscole il vostro errore con un perentorio "A-C-Q-U-A". I personaggi, infatti, sono caratterizzati in modo superbo, le descrizioni per nulla prolisse e quella che ci viene raccontata è storia avvicente con episodi, apparentemente scollegati tra di loro, che progressivamente si ricongiungono. Non so perché, anzi lo so vista l'uscita imminente della nuova opera di Tarantino, e ripenso al modo in cui è stato girato "Pulp Fiction".

Rileggo e mi rendo conto che è una recensione un po' strana: più frutto della voglia di scrivere e di condividere una buona lettura di un autore sconosciuto, che una critica puntuale e precisa nel suo offrire le informazioni del libro. Ma è così che è venuta e visto che cominciano ad entrare dei granelli di sabbia nell'ingranaggio che prima mi pareva sì ben oliato, non mi resta che terminarla sperando di avervi almeno incuriosito.

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