Mi risveglio di soprassalto e mando un messaggio a Filippo per raccomandargli di mettermi da parte la copia del disco che mi ha fatto sentire il giorno prima. Non l´ho preso subito perché costa un botto. Ma il prezzo vale il contenuto. Ho deciso deve essere mio.

Siamo giunti al terzo e ultimo capitolo della saga su Donald Byrd. Come in ogni saga che si rispetti ci troviamo al cospetto del suo capolavoro. Pubblicato nel febbraio del 1973, il disco fu registrato presso il Sound Factory Studio di Los Angeles.

I turnisti che sgorgano dai solchi dell´album più venduto dalla Blue Note sono: Roger Glenn ai fiati (flauto e sax), Joe Sample (i The Crusaders vi dicono sicuramente qualcosa) e Fred Parren al piano, Dean Parks e David T. Walker alla chitarra, Wilton Felder e Chuck Rainey al basso elettrico, Harvey Mason alla batteria, Bobbye Porter Hall e Stephanie Spruill alle percussioni, congas e tamburello. Una menzione speciale va ai fratelli Larry e Fonce Mizell (tromba e voce). In particolare a Larry che, da valente ingegnere coinvolto nei test del programma Apollo della NASA, è stato l´autore degli splendidi arrangiamenti di questo album con orchestrazioni che traggono ispirazione dai lavori di Isaac Hayes e Curtis Mayfield (ma ha contribuito anche ad arrangiare alcuni dischi della flautista Bobbi Humphrey e anche diversi di Michael Jackson e dei Jackson Five).

Con questo album Donald cambia decisamente rotta e, lasciatosi alle spalle l´Hard Bop, veleggia con maestria verso la musica crossover e più precisamente un jazz intriso di funk con sfumature R&B e soul.

Si comincia alla grande con un jet in fase di decollo in “Fligth-Time” e, alla faccia dei puristi dell´epoca che gridarono allo “scandalo”, col suo groove da metronomo getta le basi per una struttura sonora moderna e innovativa che ha fatto la gioia di numerosi samplers degli anni ´90 e anche del nuovo millennio. In tutte i brani la tromba di Donald traccia linee melodiche che col supporto del flauto di Glenn contribuiscono a rendere tutto l´album fluido e molto gradevole all´ascolto.

La Title Track ha una bellissima atmosfera funky, nella più nobile tradizione della corrente baxploitation. Isaac e Curtis congolano.

“Love´s so Far Away” scivola via alla grande riproponendo l´intreccio melodico dei fiati sostenuto dalle linee di basso e chitarra elettriche.

In definitiva vi raccomando l´ascolto di tutto il disco e, oltre alle già citate, in particolare di “Slop Jar Blues” per la sua colorazione blues e della conclusiva “Where Are You Going?” caratterizzata dal cantato di Byrd con Fred Perren e Fonse Mizell a fare il coro.

La copertina dell´album, molto particolare, si caratterizza per i colori della bandiera panafricana che fanno da cornice alla foto di una “Ragtime Band” che si sta esibendo ad un ballo di afroamericani.

Vi consiglio la (ri)scoperta di questo disco che ha una importanza storica che ci consente di affiancarlo a lavori coevi molto più menzionati come: “Birds of Fire” della Mahavishnu Orchestra, “Spectrum” di Billy Cobham e soprattutto “Head Hunters” di Herbie Hancock.

A discapito di puristi e detrattori è prerogativa del Grande Artista quella di battere “sentieri diversi” da quelli mainstream, alla ricerca di nuovi passaggi a nord-ovest per arrivare dove mai nessuno è giunto prima.

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