Come forgiare al meglio un album eterogeneo che contiene elementi folk, pischedelici, suggestioni orientaleggianti e tutto ciò che di meglio aveva da offrire la british invasion durante i mitici anni ’60???
Donovan trova la sua risposta in questo disco; all’epoca della sua uscita considerato come uno dei suoi lavori più riusciti, oggi comincia a mostrare leggermente i segni del tempo che passa insesorabile, soprattutto nella prima parte elettrica. Eh sì perché questo album in realtà nasce dalle ceneri di due dischi precedenti, usciti entrambi nel 1967, ovvero “Wear your love like heaven” (elettrico) ed il più riuscito “For little ones” (acustico).
Il contrapporsi di materiale di così differente natura però non intacca il valore complessivo dell’album, anzi, se mai lo fortifica, rendendo l’ascoltatore partecipe di autentiche delizie del calibro di “Someone’s singning”, “There was a time”, “Epistle to Derrol” (dedicata al banjoista Derrol Adams), “Starfish on the toast”, “The tinker and the crab” ma anche (a voler essere del tutto onesti) qualche raro episodio imbarazzante, come ad esempio l’arabeggiante “The enchanted gipsy”. Per i più pignoli si potrebbe sottolineare l’assenza di una canzone che risalti sulle altre, come invece lo erano state “Catch the wind”, “Colours”, “Sunshine superman”, “Mellow yellow" per le uscite discografiche precedenti ma è anche vero che, pur non contenendo molti hits, l’album si attesta mediamente su livelli più che buoni.
Rimane un’opera fondamentale per capire al meglio la realtà musicale di quella tanto decantata età dell’oro della musica, innanzitutto perché molto curata, poi anche perché è l’unico disco che unisce e riconcilia le due anime del cantautore scozzese, ovvero quella del menestrello malinconico emulo di Dylan e quella del rocker in grado di distillare pillole di psichedelica pura ed acid-rock come pochi altri.
E’ interessante infine segnalare la presenza di musicisti del calibro di Jack Bruce (Cream) e John Paul Jones (Led Zeppelin) a dare il loro contributo per la riuscita di questo album.
In definitiva chi non ha vissuto quel periodo ed ignora del tutto il contesto sociale e musicale che ha partorito questo e mille altri dischi dell’epoca faticherà necessariamente un po’ a calarsi nel fascino magico e, diciamolo, anche un po’ datato di Donovan; un musicista la cui carriera è stata caratterizzata da un continuo alternarsi di alti e bassi, è vero, ma che forse oggi rimane troppo spesso ingiustamente nell’ombra.
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