La musica di Doug Paisley è un tuffo nelle praterie del folk americano. Quello d’ampio respiro, che arriva da lontano, espressione delle passate origini pellegrine. L’inquieta sete animatrice dei numerosi interpreti di questo filone musicale di fronte alle proprie domande esistenziali veniva colmata dalla possibilità di raccontare l’america nascosta, quella di ogni giorno con le sue numerose ombre. Il folk ha in seguito imboccato numerose strade, sia dal punto di vista sonoro, spaziando dal bluegrass al rock; sia nei contenuti, nascendo come espressione di disagio sociale, mutando poi in disillusione e disagio intimista.


Il country di Paisley toglie la polvere dai vinili dei padri e dei nonni, ripercorrendone degnamente la scia. Vi si possono udire i precetti dell’america cosmica di Gram Parsons e gli umori agrodolci sospesi a mezz’aria di James Taylor. Allo stesso tempo il cantautore canadese volge lo sguardo ai maggiori interpreti odierni di queste roots: gli Wilco e Bonnie "Prince" Billy. Proprio con quest’ultimo è andato in tour dopo i vari consensi della critica in seguito all’esordio (2008) e principalmente da lui pare aver tratto ispirazione per questo “Constant Companion”.

L’uno due iniziale “No One But You” – “What I Saw” si avvicina alle composizioni più pacate e ottimiste di Jeff Tweedy, accostandosi coi suoi vaporosi hammond alle atmosfere di “Summerteeth”. Se “Don’t Make Me Wait” dove duetta con Feist non è nulla di che, “End Of The Day” è all’insegna di un folk imperscrutabile, paragonabile a quello dei primissimi Herman Düne. Con lo struggente inno alla malinconia di “Bluebird” il songwriter raggiunge la vetta dell’espressività e se “Always Say Goodbye” è il pezzo più country, la successiva “O’ Heart” sconfina nei territori della ballata seventies, caratterizzata da un piano sopra le righe e cosparsa da un velo di glam degno di Bowie. Le conclusive “I Stand Alone” – “Come Here And Love Me” non fanno altro che ribadire il talento compositivo di Paisley, marcandone la variabilità emotiva: solare e ottimistica la prima, d’una vastità contemplativa che sembra non avere limiti la seconda.

Il cantautore di Toronto si conferma uno dei maggiori interpreti della tradizione folk americana.

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